25 aprile, l’arte dell’incontro

MARCIA DELLA LIBERAZIONE A SAN GIOVANNI MANIFESTAZIONE PROTESTA NEGAZIONISTA DEI NEGAZIONISTI NO MASK BANDIERA TRICOLORE ITALIANA

Quel giorno è arrivato, la sessantottesima ricorrenza dell’anniversario della liberazione del Paese dall’invasione nazista, il fatidico 25 aprile del 1945. Oggi è la festa di tutto il popolo italiano, che nel lungo periodo trascorso da allora a oggi, osservando quanto è successo anche a poca distanza dai confini nazionali, dovrebbe aver ben assimilato, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, l’importanza di due valori, la democrazia e la libertà. È il caso in cui uno più uno non fanno due, ma molto di più. Probabilmente, proprio in virtù del possesso di tale grande patrimonio ormai consolidato, gli italiani non riescono a inquadrare nella giusta luce quanto sta succedendo nel mondo. Circa due secoli orsono Karl Marx, nel compilare su commissione la prima credenziale del Partito Comunista, il Manifesto, esordi con la frase: “Un fantasma si aggira per l’Europa, il comunismo”. La redazione di quel documento gli era stata commissionata dagli stessi esponenti comunisti attivi in Europa. Pertanto, se non avesse dato alle stampe “Il Capitale “, di quel pensatore non sarebbe stato certo difficile credere che gli avversatori del suo pensiero lo avessero definito tout court “pennivendolo”. La storia è proseguita in tutt’altra maniera e, fino alla fine del secondo millennio, bene o male, con prevalenza della seconda modalità sulla prima, la parte delle popolazioni che non ha abbracciato quel credo politico è progredita notevolmente. Altrettanto è successo all’inizio del secolo scorso per una concezione della società occidentale basata sulla necessità di sostituire le varie monarchie più o meno illuminate con delle élite. Le stesse sarebbero state messe insieme in base a criteri discutibili almeno quanto quelli addotti dalla ideologia popolare prima descritta. Allo stato un altro tipo di spirito sta invadendo l’intero pianeta e acquista velocità di giorno in giorno più elevata. È la violenza, di ogni genere e specie, che ha preso a insidiarsi più di quanto non lo sia già fisiologicamente nell’umanità in genere – Homo hominis lupus, scriveva Hobbes – e che condiziona pesantemente il suo agire. Sembrerebbe un fenomeno in via di estinzione l’attitudine a mediare, cioè a trattare, che invece dovrebbe essere una delle modalità di azione dell’Homo Sapiens, peraltro frontiera immaginaria con il comportamento degli animali. Accade così che il fuoco delle guerre di ogni genere trovi combustibile dovunque. Riprendendo un concetto espresso già altrove, pur non essendo in corso, almeno fino a oggi, la terza guerra mondiale, essa, sotto forme diverse, è tuttavia in atto in molti paesi del mondo. Ancora una volta sono gli interessi di cassetta a essere contrabbandati come contrapposizioni ideologiche quelli che agitano la fronda dei conflitti armati un po’ dovunque. Così ha ripreso corpo la fiamma, peraltro mai completamente spenta, che sta bruciando il Sudan, teatro di una guerra particolarmente ripugnante in quanto fratricida. È necessario sottolineare che anche in quel paese si sono resi conto in maniera sufficiente dell’entità del tesoro minerario su cui sono seduti e vorrebbero riguadagnare in ogni modo il tempo perduto. In campagna, quando si verificano situazioni come quella in corso in Centrafrica, commentano con l’espressione che, in un pollaio, quando sono due o più i galli che cantano, non spunta mai la luce del giorno. Eppure, per il fatto che alla fine sono i soldi l’argomento del contendere, la strada più giusta, quella della trattativa, non sempre è percorsa, come uso di mondo vorrebbe, fino in fondo. Alle prime battute di incomprensione, gli interlocutori iniziano a darsele di santa ragione in tutti i sensi. Sono state varie in passato le occasioni in cui il bel parlare e il comportamento corretto sono stati gli ingredienti che hanno contribuito in maniera determinante al buon esito della preparazione, cioè la trattativa. Due casi in particolare potrebbero dare l’idea di quanta importanza rivesta quella ipotesi: il viaggio di Marco Polo in Cina e quello di Cristoforo Colombo in America. Entrambi portarono doni per gli indigeni e, soprattutto, il primo li seppe presentare bene accompagnati dal suo eloquio. Tanto che, al termine delle trattative, sia l’italiano che il cinese plaudirono all’apertura della Via della Seta, quella originale. È bene aggiungere essere rimasta la stessa un unicum e, oggi più che mai, è prudente diffidare dalle imitazioni o di ciò che resta di esse. Del resto, che la vita sia “l’arte dell’incontro”, ne aveva già scritto Borges intorno alla metà del secoli scorso. Il concetto era stato ripreso poco dopo e messo In musica dal suo connazionale De Moraes. I lavori di entrambi rendono ancora oggi ben chiara l’idea. Ciononostante non manca giorno che, limitandosi all’Italia, non si registri qualche fatto violento, compiuto in ogni regione, per i motivi più svariati, comunque nella quasi totalità dei casi inappropriato. Anche i sociologi stanno tentando di dare spiegazioni al fenomeno, arrampicandosi sugli specchi. L’incertezza, è noto, è il tribolo più appuntito che possa pararsi innanzi alla evoluzione di un popolo. Quel che è più pericoloso, è che sono coinvolti quasi tutti gli abitanti del mondo. Poiché oggi è il 25 aprile, quindi giorno di liberazione in senso lato, è bene sospendere questa autoflagellazione e impegnarsi in attività più consone a una ricorrenza di festa. Anche perché la giornata è cominciata da poco, quindi che sia in tal modo veramente consona alla sua caratteristica: la liberazione. Intesa In senso molto lato, da tutti i patemi che, di questi tempi, stanno assillando l’umanità intera.