Quale strada le banche cosiddette locally significant hanno da percorrere per vincere la sfida dell’innovazione, dei cambi repentini di comportamento della clientela, per far fronte alle nuove istanze che il mercato pone? Sembra un po’ questo l’interrogativo finale del rapporto McKinsey presentato oggi a Napoli, in esclusiva per l’Università degli Studi di Napoli Federico II, nell’ambito di una giornata promossa dal Dipartimento di Economia, Management, Istituzioni (Demi) e dall’Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers (Aifirm) nella suggestiva cornice del Centro Congressi d’ateneo di Via Partenope 36. E una strada il team di McKinsey sembrerebbe indicarla. Anzi si tratta di più strade, che vengono consigliate dagli esperti della società internazionale di consulenza manageriale ad una platea di accademici, operatori bancari, della consulenza. Presente anche l’autorità di vigilanza. Se dunque le insidie si chiamano digitalizzazione, competenze, rischi, outsourcing, governance – tutti segmenti rispetto a cui le banche locally significant rischiano di perdere terreno in termini di competitività – l’antidoto potrebbe trovarsi non troppo lontano dai loro interessi e dalle loro radici. “Occorre decidere il modello di business ed il posizionamento strategico”, si legge al primo posto della slide su come “vincere la sfida” del rapporto presentato oggi a Napoli. Da qui, quelli di McKinsey suggeriscono di “riflettere sulle conseguenze in termini di rischio ed assorbimenti patrimoniali“. Di “definire il set di capabilities necessarie nel nuovo assetto strategico” assieme ad una “purpose ben precisa per attrarre nuovi clienti e talenti“. E, infine, di “aumentare radicalmente il tasso di innovazione anche attraverso partnership“. Quest’ultimo aspetto sarà ribadito anche nelle battute finali da Maurizio Donato, senior partner McKinsey, durante la tavola rotonda.
I protagonisti
Al centro del dibattito, dopo l’introduzione del vicepresidente Aifirm Corrado Meglio e i concetti affidati alla platea dalla professoressa Adele Caldarelli, direttrice Demi (“Le banche del territorio hanno raccolto la sfida della digitalizzazione, accorciando sempre più la catena del valore e favorendo le attività produttive sui territori, talvolta creando un rapporto anche familiare con la clientela e facendo da partner alle autorità locali, che in più occasioni scelgono di delegare taluni compiti agli istituti locali, un modo per reinventarsi dando vita a dei veri e propri business di successo”), le riflessioni dei protagonisti del settore: Giovanbattista Sala, titolare del servizio di supervisione della Banca d’Italia sulle banche di medie e piccole dimensioni; Sergio Gatti, direttore generale della Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperativo; il direttore generale di Bcp Felice Delle Femine; Maurizio Donato, senior partner McKinsey.
A fare gli onori di casa la professoressa Rosa Cocozza, ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari. Prima di lei, il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi non ha fatto mancare il proprio saluto istituzionale, soffermandosi sul “ruolo politico delle banche, capaci di accompagnare processi che determineranno sicuramente tensioni sociali”. Il riferimento è alla crisi economica e all’inflazione dovuta al costo dell’energia per via del conflitto in Ucraina e ai postumi della pandemia.
Per Giovanbattista Sala “la pandemia ha rappresentato un fattore di grandissima accelerazione per la transizione tecnologica delle aziende”. L’esperto di Banca d’Italia ha citato il dato relativo ai prestiti alle famiglie tramite i canali web, che sono aumentati “del 44 per cento” nel 2021 rispetto al 2020″. Quindi ha ricordato come gli investimenti iniziative di platform economy “costituiscono il 44 per cento di tutti gli investimenti in nuove tecnologie”. Un percorso di razionalizzazione è dunque già partito. “Il numero di sportelli e dipendenti bancari negli ultimi 5 anni si è ridotto del 30 per cento circa a parità di attivo”, ha evidenziato. “Il numero delle banche locally significant alla fine del 2018 era di 90. A fine 2021 erano 78, la previsione è che per tutto il 2022 si possa arrivare tra le 70 e le 75. Una riduzione del 20 per cento. Per un po’ più della metà di queste banche ci si è trovati di fronte a situazioni di crisi, generate da carenze di governance”. Altre invece hanno cambiato paradigma, manifestando cambiamenti importanti nel proprio assetto proprietario, trasformando radicalmente il modello di business. “In sostanza, il sistema si muove e si muove per eventi che solo in piccola parte sono legati alla tecnologia. Oggi abbiamo tre operatori nel sistema bancario locally significant: banche tradizionali generaliste (60/63%), varie categorie operatori specializzati (risparmio gestito e della consulenza, operatori specializzata in materia creditizia). Sicuramente le banche tradizionali sono quelle che hanno migliorato di più i loro fondamentali”.
Sergio Gatti, direttore generale della Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperativo, ha invece posto l’accento sull’aspetto normativo. “Il settore finanziario non bancario gode di qualche allentamento, la regolamentazione non è un fattore neutro”. Poi ha sottolineato come “l’innovazione tecnologica e l’abbondante liquidità in cerca di rendimenti abbia spinto la nascita di nuove piattaforme, c’è da chiedersi tuttavia quanto siano sostenibili. La sostenibilità di queste nuove banche non è al momento garantita e la conquista di nuovi clienti avviene almeno per i primi anni a scapito della redditività”.
Nel suo intervento il direttore generale di Bcp Felice Delle Femine ha messo in luce come “uno degli obiettivi prioritari di una banca locally significant” sia “la crescita delle comunità locali”, segnalando come “Banca di Credito Popolare, soltanto negli ultimi 4 anni” abbia erogato “1,5 miliardi di euro alle famiglie e alle imprese della Campania e del Basso Lazio”. “Sembriamo una banca tradizionale ma non lo siamo – ha proseguito -, stiamo cambiando pelle velocemente, anche in presenza di alcuni imprevisti come la pandemia, che ha rallentato alcuni processi ma ci ha anche dato l’opportunità di accelerare sul fronte digital”. Di qui il riferimento alle 8.000 Pef (pratiche elettroniche di fido) gestite durante la pandemia, “mentre normalmente se ne gestivano 3.000 all’anno”. Il dg di Bcp si è anche soffermato sulla formazione (“circa 30.000 ore all’anno”), sul cambio di mentalità e sulla fidelizzazione del cliente. Ai giovani laureandi in economia presenti in platea ha rivolto un appello affinché possano “esprimere preferenze e ambizioni personali nelle aziende in cui andranno a lavorare, non smettendo mai di sognare”.
Redditività, una situazione di strutturale difficoltà
Maurizio Donato, senior partner McKinsey, ha spiegato nel suo intervento come il contesto in cui operano le banche a livello mondiale evidenzi una perenne difficoltà sul fronte della redditività, oramai da oltre dieci anni. “L’Italia è ferma al 3 per cento, un punto e mezzo in meno della media europea. Questo significa meno supporto alle aziende, alle famiglie, meno possibilità di crescita, perché la disponibilità del ritorno poi vuol dire avere a disposizione risorse sul territorio per farlo crescere. Il sistema riduce la possibilità di crescita economica. Con banche senza utili, non c’è sviluppo. Dobbiamo collettivamente aspirare ad avere un ritorno economico adeguato per avere un volano di crescita”. Per l’esperto l’Italia è indietro rispetto all’innovazione tecnologica ma “comunque soggetti che hanno utilizzato la leva tecnologica per fare evolvere il proprio profilo di business hanno ottenuto dei risultati, anche nel contesto come quello domestico, particolarmente rilevanti”. Ciò è accaduto, ha spiegato Donato, “in prevalenza su modelli specialistici”. Il dibattito conclusivo è stato curato da Maurizio Vallino, direttore Aifirm.