Addio a Enrica Sperati-Bernardini, l’ultima partigiana combattente di Roma

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in foto partigiane che hanno partecipato alla guerra di liberazione dal nazifascismo

L’ultima partigiana combattente di Roma: Enrica Sperati-Bernardini, coniugata con Arnaldo de’ Giovanni-Centelles. “Una donna, una semplice donna” ripeteva sempre, con una punta polemica controfattuale, con quella che definiva la retorica femminista.

di Claudio Quintano*

C’ è stato anche un patriziato, in Italia, tutt’altro che passatista e arroccato nei fasti sterili del privilegio, non dimentico dei suoi doveri storici verso il Popolo.
Apparteneva a questo donna Enrica Sperati-Bernardini, una delle ultime partigiane combattenti italiane ancora in vita, pluridecorata al Valore Militare, spentasi a Roma – alla vigilia di Natale, a 93 anni.
Nata a Palestrina nel 1928 in una famiglia di piccola nobiltà pontificia (la nonna paterna Matilde Massimi era sorella del Cardinale Massimo Massimi, prozio era il cardinale vicario Basilio Pompili, vescovo di Velletri), ripeteva il nome della nonna materna Enrica Ambrosi de Magistris ed era stata battezzata nella cattedrale dallo zio canonico liberiano.
Il 10 settembre del 1943 aveva partecipato a sedici anni alla battaglia di Porta San Paolo con uno di quei gruppi di cittadini romani che presero le armi, accanto ai Granatieri di Sardegna, nel tentativo di arginare l’occupazione di Roma.
Riparata nel quartiere popolare della Garbatella, che contava numerosi gruppi di patrioti armati, riusciva a lasciare Roma riparando nella conca Ternana, dove si arruolava nella brigata garibaldina Assogna-Navarro, partecipando poi a numerosi conflitti a fuoco tra la Valnerina e le Terre Arnolfe.
Qui avrebbe conosciuto il marito – Arnaldo de’Giovanni-Centelles, terzogenito del duca di Precacore – che fungeva da ufficiale di collegamento con il Regio Esercito, in cui si era arruolato volontario nel 1936: Africa, Spagna, AOI, da cui si era riarruolato come grande invalido di guerra.
Donna Enrica aveva imparato a sparare all’Accademia Femminile di Educazione Fisica di Spoleto, dove era stata ammessa da “uditrice” in quanto orfana, in attesa di convalidare gli studi all’età prescritta.
Il padre, l’avvocato Luigi Sperati, esponente di spicco del partito socialista di Frosinone, era stato nello studio di Matteotti. Mussolini, ricordando gli antichi anni da deputato socialista, l’aveva ammessa per decreto alla morte dei genitori.
Soppressa l’Accademia, ma diplomata, il dopoguerra l’avrebbe vista delegata femminile della sezione dc “Cristoforo Colombo” di Roma, insegnante nelle aree difficili di Guadagnolo, Artena Scalo, Borgata Alessandrina, poi vincitrice del concorso nazionale di ruolo, vigilatrice scolastica, madre, nonna e bisnonna.
Una vita per la famiglia e la scuola fino a meritare la Medaglia d’Oro della Pubblica Istruzione su proposta del Presidente Andreotti.
La scomparsa del marito nel 1992, quello della figlia Giuliana pochi anni fa, appena pensionatasi dal Cnr, ne avevano ferito il cuore, ma indomita ha continuato fino alla fine ad interessarsi della cosa pubblica e a battersi per Roma. Finchè l’altro giorno ha ceduto alla grande età.
Una donna nostra, “una donna, una semplice donna” ripeteva sempre, con una punta polemica con quella che definiva la retorica femminista. ” Le parole non bastano. Ogni generazione deve conquistarsi e difendere la sua libertà”, diceva sempre.

*già Rettore dell’Università degli Studi di Napoli “Parthenope” (2010-2016)