Al voto con il rischio di un salto nel vuoto

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Domani si vota: “trivella sì, trivella no” è lo slogan che sintetizza timidamente e con molta approssimazione (i media hanno preferito dare spazio ad altri temi in questi giorni) il quesito referendario promosso per la prima volta da alcune Regioni. Nove, per l’esattezza, di cui almeno quattro nemmeno direttamente interessate alla questione.   

Più propriamente, invece – giusto per ricordarlo – il tema della chiamata alle urne attiene alla gestione e sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas, meglio, ai termini di smantellamento delle piattaforme a mare. Un aspetto che, con suggerisce il buon senso, la classe politica di un paese normale avrebbe dovuto avvertire l’esigenza di regolare per tempo e con una semplice legge, non certo con un referendum. 

Ma tant’è. Del resto si sa: in Italia le leggi che servono o non si fanno oppure si fanno male. 

E di esempi, in tal senso, ne sono rimbalzati prepotentemente alla ribalta pure in questa settimana. Penso al caso Guidi e all’inchiesta di Potenza, dove la norma sul conflitto di interesse e la disciplina delle intercettazioni telefoniche hanno riproposto e rinfocolato antiche e irrisolte questioni. Oppure, con riferimento alla cattiva scrittura delle norme, al decreto legge che inserisce il pagamento del canone tv nella bolletta elettrica, che è stata appunto sonoramente bocciato dal Consiglio di Stato. E, dunque, ora rischia di innescare una valanga di ricorsi, oltre che creare non poche difficoltà alla già malandata gestione del carrozzone Rai, se non si corre velocemente ai ripari. 

Ad ogni modo – si diceva – chiamati intanto alle urne per una consultazione referendaria di cui molti sanno poco e pochi, in fondo, hanno forse nemmeno tanta voglia di sapere, il presidente del Consiglio ha invitato gli elettori ad astenersi. Insomma, a non votare, al fine di evitare il raggiungimento del quorum e, dunque, la vittoria di pseudo-ambientalisti e disfattisti. Posizione sostenuta persino dal due volte ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, pure un tempo convinto paladino del “dovere di voto”, che questa volta si è espresso invece a favore dell’astensione, che è appunto “un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria”. 

Argomenti, a dire il vero, che almeno per Matteo Renzi potrebbero riproporsi come un cavallo di Troia allorquando si tratterà, in autunno, di chiamare gli italiani ad esprimersi nel referendum confermativo delle modifiche costituzionali definitivamente approvate proprio questa settimana. Circostanza nella quale in gioco saranno non soltanto le regole della Terza Repubblica vaticinata da Maria Elena Boschi, ministra bella e intelligente, ma pur sempre nel mirino delle polemiche per via – guarda caso – del conflitto di interessi, ma lo stesso premier alla guida del governo.  

Peraltro, a proposito di riforma costituzionale, è bene ricordare che, pure tra alcune modifiche interessanti, la nuova Carta abolisce nella sostanza il Senato delle Repubblica, che però continuerà a vivere come Camera delle Regioni, che sono in fondo la vera causa del dissesto economico statuale italiano. E dunque non abolisce la pletora di società (10 mila) partecipate dallo Stato e che hanno – secondo l’ignorato rapporto Cottarelli – circa 40 mila componenti nei consigli di amministrazione e che finora hanno prodotto 45 miliardi di debiti, vale a dire, circa dieci volte l’introito dell’Imu. Il tutto per dire, insomma, che anche in questo caso gli argomenti per invitare gli elettori ad astenersi non mancheranno. E ciò, senza contare il fatto che, in venti anni, sono già falliti sei referendum su sette per il mancato raggiungimento del quorum.    

Non solo. A peggiorare il quadro c’è anche il timore fondato che, nonostante encomiabili sforzi e bei proclami, ancora una volta il Belpaese non crescerà tanto quanto ci si augura. In questo senso parlano le stime del Fondo monetario internazionale, secondo cui l’Italia crescerà quest’anno dell’1,0% (-0,3 punti percentuali rispetto alle previsioni di gennaio) e nel 2017 dell’1,1% (-0,1 punti). Mentre intanto peggiora sempre più il clima di fiducia tra i pensionati, a proposito di reversibilità (quelle che spettano al coniuge o agli eredi alla morte del pensionato o del lavoratore che ha versato i contributi) dal momento che il solito presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano ha, ancora ieri l’altro, scoperto un nuovo riferimento all’interno del Documento di Economia e Finanza presentato dal governo e dunque un taglio di questa prestazione, sicché il ministro Giuliano Poletti si è nuovamente affrettato a ribadire che “il testo sarà corretto e le pensioni di reversibilità non saranno toccate”. 

Parole, soltanto parole, per ora.