All’ombra della guerra le grandi manovre della finanza mondiale per provare ad arginare la crisi

in foto Jerome Powell, presidente pro tempore della Federal Reserve

È comprensibile che in questo periodo l’informazione sia concentrata soprattutto sulla guerra, in particolare sul suo aspetto umanitario. Il conflitto sta assumendo giorno dopo giorno dimensioni mondiali nel senso che è coinvolto in esso, anche se non materialmente, un numero di paesi sempre crescente. Anche se non con la presenza in loco, il loro impegno è comunque consistente. Le notizie più eclatanti relegano in quanto tali a livelli di minore visibilità l’informazione di altri argomenti che:, normalmente, sarebbero al centro dell’attenzione. Alcune problematiche, soprattutto economiche, che fino agli inizi di quest’anno erano state al centro dell’attenzione generalizzata, da un pò di tempo ricordano il comportamento di un fiume carsico, comparendo e scomparendo, senza una logica precisa, dagli argomenti trattati dai mezzi dell’informazione. Così potrebbero essere sfuggite notizie, nazionali e internazionali, di fatti importanti e destinati a avere un seguito. Partendo da quelli internazionali che condizionano direttamente quelli domestici, della EU come degli altri paesi, l’evento che è necessario approfondire è senz’altro la recente decisione della FED. Come aveva per tempo informato già durante l’autunno dello scorso anno il suo presidente, Jerome Powell, nei giorni scorsi essa ha alzato il tasso di interesse del dollaro di 0,50 punti. La portata della manovra è di particolare importanza per una serie di motivi. La premessa: in tempi normali mezzo punto percentuale di variazione in più o in meno del rendimento di una valuta non avrebbero turbato più di tanto i sonni di chi si occupa di finanza. Questa volta è diverso, prova ne è che il segnale di un cambiamento che è andato oltre il semplice aumento del costo del dollaro è stato colto al volo da buona parte degli istituti centrali del mondo, che hanno reagito nello stesso senso. Così facendo, Powell ha dato forma alle interpretazioni che l’istituto da lui presieduto stava dando già da tempo all’evoluzione della congiuntura economica negativa accentuata dalla pandemia. Che la politica monetaria sia uno strumento da usare per periodi limitati nel tempo è un concetto caro anche ai difensori più strenui della sua validità. Che poi si accavallino due fenomeni, di diversa natura, entrambi devastanti come la pandemia e la guerra, è cosa da mettere nel conto delle disgrazie, quelle che prescindono in gran parte da comportamenti umani e naturali. Sono peranto non previdibili né facilmente contrastabili. Nel momento in cui si è avuta contezza che quella dell’Armata Rossa in Ucraina non era una gita fuori porta, la Signora Lagarde, presidente della BCE, ha ritenuto che andasse rinviata a tempi migliori, ancora da definire, l’attuazione di un provvedimento analogo a quello adottato dal collega a stelle e strisce. Il motivo dichiarato dalla stessa signora è che il malato, l’economia reale europea, ancora non è in grado di camminare senza il bastone della finanza a costo zero o quasi. Senza innamorarsi delle proprie idee, la banchiera centrale ha preso il coraggio a due mani, agendo in modo che a rimanere ancora al palo fosse la finanza, certamente in uno stato di salute non precario. Il suo comportamento è in perfetta sintonia con le esigenze del tempo soprattutto in Europa, dove, dopo i danni provocati all’ economia del fare addotti dalla Covid, si è aggiunta la distruzione di ricchezza provocata dalla guerra. Il comportamento della signora Lagarde è la prova lampante della validità degli insegnamenti di alcune importanti scuole di management, soprattutto americane, fin dagli anni ’60. Ai futuri dirigenti veniva raccomandato a oltranza, come principio generale, di non innamorarsi mai troppo delle proprie idee. Vista allo specchio, la stessa valeva a significare che chi decide deve sapersi mettere sempre in discussione. Pragmatismo d’oltreoceano vorrebbe che si facesse ancora così, ma a quelle latitudini, accanto alle lobbies politiche, coesistono, ugualmente potenti se non anche più, quelle finanziarie e non è necessario aggiungere altro. Ancora fatti importanti, non tutti positivi, che non sono assurti all’onore delle cronache ma non pertanto devono passare solo come accennati, hanno visto la luce dopo una breve gestazione. Uno in particolare dovrebbe far riflettere ed è il ritorno in mano pubblica della Società Autostrade. A rilevarne la maggioranza delle azioni da privati è stata la CDP, la Cassa Depositi e Prestiti. Da qualche anno quell’Istituto sta prendendo sempre più la connotazione di longa manus del governo per intervenire nell’ economia. Ciò talvolta fa pensare che, nella classe politica, esista una frangia che la intravede come l’IRI di questo inizio di secolo. L’argomento richiede approfondimento e perciò è bene che sia ripreso e approfondito in tempi più sereni. Quanto invece è necessario rilevare è che l’operazione di acquisizione si sia chiusa a condizioni di mercato e l’attività sarà condotta, con ogni probabilità, allo stesso modo. Non così stanno andando le cose per altre due attività strategiche per il Paese, la cui proprietà è per buona parte in mano pubblica: la Tim nel settore telecomunicazioni e la ITA in quello del trasporto aereo. Per entrambe si è verificata una di quelle situazioni da manuale che si studiano nei corsi di economia. Più precisamente, quando un’attività opera in regime di monopolio, comanda il mercato. Pertanto i prezzi dei suoi prodotti sono imposti e determinare il loro livello che consenta alla clientela un approccio anche in termini di quantità non è particolarmente difficile. Il Covid ha dato diversi problemi alla produzione di beni e servizi nonchè alla loro commercializzazione. La guerra, in parte molto più ridimensionata, sta continuando l’azione in questa sgradevole situazione. Ma non sono certamente da sole queste cause a determinare il profondo rosso dei bilanci di quelle due realtà aziendali. Appesantite da costi anomali che ne pregiudicano la possibilità di operare in un mercato libero e concorrenziale, non riescono a andare, con le proprie gambe, da nessuna parte. Accumulano perdite molto consistenti che fanno di loro facili prede della concorrenza, talvolta anche della speculazione. Nè è possibile per lo stato e per esso l’esecutivo, accantonare il problema per riprenderlo quando le tempeste saranno passate: potrebbe essere troppo tardi. Saper suonare più strumenti in contemporanea non è cosa semplice, ma si può sempre provare. Non cercando di diventare un One Man Band, ma delegando. Il Professor Draghi in questo tipo di attività è un maestro, sia concesso il gioco di parole.