Almanacco del tempo del coronavirus, Antonio Filippetti si ispira a Leopardi

256
in foto Antonio Filippetti

di Maria Carla Tartarone Realfonzo

Antonio Filippetti, noto scrittore, che fa parte del Consiglio direttivo dell’Unione Nazionale Scrittori e Artisti, ha pubblicato una ventina di libri. E’ fondatore e direttore di ”Arte & Carte”, la rivista della creatività artistica ed è il curatore del programma interdisciplinare “Liberi in poesia”. Ultima sua produzione, de novembre 2020, è l’“Almanacco del tempo del coronavirus” ispirato alle numerose ed angoscianti problematiche che ci perseguitano in questo triste periodo. L’Almanacco è diviso in diciannove “settimane”. Nella premessa lo scrittore si richiama all’operetta di Giacomo Leopardi “Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere”; nelle diciannove settimane esamina e sintetizza i nostri numerosi problemi e stimola in noi sagge riflessioni affinché possiamo aggrapparci alla ragionevolezza e alla nostra cultura che ci può accompagnare nella risoluzione dei molti problemi che ci affliggono. Nelle sue parole si può cogliere talvolta una pungente ironia certamente consona. Tra i tanti accenni, l’autore negli argomenti trattati, fa riferimenti anche al passato, ci ricorda avvenimenti lontani come la peste del sedicesimo secolo e la più recente spagnola. Ben diciannove “settimane”, così appella il nostro autore i suoi capitoli, sono impiegate a sintetizzare ed a spiegare i nostri problemi e le nostre tristi avventure di oggi, molto tristi. E non sono solo gli anziani a essere vittime, come la cronaca riferisce, ma soprattutto il pensiero che possa cadere il virus sulle spalle dei figli o dei nipoti, infatti anche molti giovani hanno subito quanto sta accadendo. Quindi nei suoi scritti, con una grande sapienza, il nostro autore ci trasmette sinteticamente le notizie, nei vari aspetti, e ci spinge a seguire la via giusta con fermezza, come ci hanno insegnato i nostri illustri avi, il severo poeta Dante e poi Leopardi, anche nelle sue “Operette Morali”. “Almanacco del tempo del coronavirus”, edito dall’Istituto Culturale del Mezzogiorno, ci riferisce, in una scansione settimanale, le ultime notizie, commentate, degli sviluppi dei drammatici avvenimenti che avvengono oggi nel mondo e specificamente in Italia. Desidero riferirli per mostrare, in sintesi, come lo scrittore analizzi accuratamente gli avvenimenti riferendoli con precisa analisi.

Prima settimana “Libertà e uso del tempo nell’era del coronavirus”. Quale libertà: pochissima, di scegliere una qualsiasi attività, chiusi in casa e a distanza dagli altri.

Seconda settimana: “Vieni avanti infettivo!” Tra le righe l’autore ironicamente riflette sul numero enorme di specialisti, virologi che vengono alla ribalta in televisione e si domanda con ansia comune quali siano i tempi che dovremo attendere per uscire da questo caos.

Terza settimana: “C-C/Coronavirus e comunicazione”. Leggendo le sue parole ci rendiamo conto di quanto la comunicazione sia molteplice e come la contraddittoria stampa sia in pericolo.

Quarta settimana: “Coronavirus e linguaggio”. Qui l’autore pone in evidenza questo nostro linguaggio ormai “italoinglese” che si è andato accentuando proprio in questi tempi e che non deve piacerci, come a suo tempo non piacque a Dante l’allontanarsi dalla propria lingua e ne convenne Giacomo Leopardi, destando l’intervento anche de L’Accademia della Crusca.

Quinta settimana: “I vecchi e i giovani del coronavirus”. L’autore tra l’altro desume che, persi gli anziani, i giovani avranno ”meno appigli a cui afferrarsi e mancherà loro qualsiasi riscontro memoriale”. Ciò li renderà più poveri, privi ormai della saggezza degli avi.

Sesta settimana: “Il coronavirus dei volontari”. Anche qui Filippetti riscontra che la voglia di molti di mettersi in mostra e “il turbinio di asserzioni”, le molteplici dichiarazioni pubbliche, potrà arrecare più danni che benefici se i volontari non ritorneranno discreti.

Settima settimana: “Il coronavirus dei generali e dei soldati”. Lo scrittore riflette sulle guerre, sulla capacità dei generali (!) ma anche sulla audacia dei soldati che sono loro i protagonisti della vittoria delle guerre.

Ottava settimana: ”Il coronavirus della discordia”. Qui l’autore conclude: ”…le istituzioni di ogni ordine e grado andrebbero almeno seguite se non appoggiate, con una certa “tolleranza” e con spirito di partecipazione senza essere aggredite ogni volta in nome di una presunta verità “altra”…

Nona settimana: “I primi della classe retrocessi all’ultimo banco”. Leggiamo anche: ”La smania di primeggiare non ha avuto e non sembra avere limiti…l’andazzo andrà avanti chissà per quanto tempo”. E anche ”l’improntitudine, come l’infezione, è stata in verità universale, tanto è vero che anche celebri e spregiudicati leader mondiali come Johnson e Trump hanno dovuto mestamente fare macchina indietro, sconfitti senza appello”. Ed ha anticipato gli ultimi avvenimenti.

Decima settimana: “Il coronavirus e l’era dell’incompetenza”. Tra le righe leggiamo: “E’ il tempo in cui i cosiddetti esperti, attraverso le televisioni, i social media ecc…, hanno dato vita a un carosello di invenzioni di ogni tipo…”

Undicesima settimana: “Il coronavirus e la cultura”. Tra l’altro l’autore ci ricorda che il 25 marzo sarà consacrato alla memoria di Dante, a 700 anni dalla sua morte e sarebbe il caso richiamarsi alla sua lezione e a quanto la “Commedia” ci racconta del nostro presente”.

Dodicesima settimana: ”Il coronavirus in maschera”. Qui lo scrittore ci ricorda un altro grande autore, Luigi Pirandello, che in “Sei personaggi in cerca d’ autore” prescrisse che i protagonisti si mostrassero in scena con una maschera il che significa che, “nell’opera pirandelliana la maschera, vera o simbolica, contrassegna la problematicità dell’esistenza, impossibilitati come siamo a definire contorni e limiti della realtà”.

Tredicesima settimana: “Il festival del coronavirus”. In queste pagine l’autore con ironia allude all’esercito degli esperti ”studiosi di rango che avrebbero avuto il compito di indicare al povero “vulgo” come uscire dalla pandemia. Ma non è successo proprio così, giacché questi soloni non hanno offerto una bella immagine di sè … hanno finito col litigare con tutti”…

Quattordicesima settimana: “La vita sospesa al tempo del coronavirus”. Niente si profila all’orizzonte come probabile certezza, ciò condivide la nostra tristezza.

Quindicesima settimana: “Stato d’eccezione e stato d’ignoranza”. Qui l’autore conclude :“Alla fine riesce difficile stabilire chi tra il coronavirus, l’improntitudine scientifica e l’incapacità istituzionale abbia fatto più danni”.

Sedicesima settimana: “Quando sarà tutto finito”. Trascrivo queste rilevanti asserzioni: ” La politica da parte sua non è riuscita né a governare né a tranquillizzare la popolazione smarrita… avviando più che altro una continua competizione tra i poteri… E’ prevalsa in definitiva la logica politica che ha oscurato l’emergenza popolare…”

Diciassettesima settimana: “Il sogno per il dopo coronavirus”. Lo scrittore chiude la diciassettesima settimana ricordandoci “La peste” di Albert Camus in cui il protagonista lancia un monito: ” Mi sento più solidale coi vinti che coi santi. Non ho inclinazioni per l’eroismo e la santità. Essere un uomo, questo mi interessa”.

Diciottesima settimana: “Se il virus sconfigge capitalismo e socialismo”. E siamo infatti anche in un momento di crisi politica , come prevede l’autore.

Diciannovesima settimana : “Il coronavirus e la lezione de “La ginestra”. In questo momento , dice Filippetti, la letteratura può essere un valido soccorso e “La ginestra” di Giacomo Leopardi che il poeta scrisse a Napoli e “ci fornisce un grande ammonimento: se la natura non può essere vinta in nessun modo, l’umanità può se non altro fronteggiarla se si determina a stare unita…perché soltanto tenendoci per mano e sostenendoci gli uni con gli altri può essere possibile poi dare un senso consapevole all’esistenza: una lezione di saggezza troppe volte colpevolmente ignorata”. Così lo scrittore termina il suo Almanacco, riferendosi al grande Leopardi per il quale ha anche promosso più di un convegno. Il libro si chiude con alcune riflessioni, l’Appendice “Le parole del coronavirus”, sul nostro difficile tempo, di Natale Antonio Rossi co-presidente FUIS.