Anche per i beni culturali chi si ferma è perduto

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Villa Comunale di Napoli, croce (tanta) e delizia (ormai poca) di associazioni civiche e cittadini indomiti. Dai tempi delle famigerate selezioni per la “Coppa America”, e ancora prima dalla messa in opera della cancellata con illuminazione che la circonda, che ogni discorso sullo stato della Villa Comunale di Napoli prende la lamentosa deriva di un ”de dolore” accorato al punto che quello delle “sette Ispadas” appare come il gioioso cinguettio degli uccellini a primavera. Non si può dare torto ai napoletani che invocano la ricostituzione dello stato di quell’antica Villa di Chiaia che imperversava su dipinti e cartoline di un tempo che fu. Il problema “Villa” continua a brillare irrisolto, ogni anno “più grande e pesante che pria”. C’è un rimedio? Quanti soldi e quanti fondi occorreranno per la rimessa in pristino di un bene prezioso dal punto di vista culturale, architettonica, turistico e sì, una volta anche botanico? Ammettiamo per un momento che un intervento demiurgico possa riportare la Villa all’antico splendore naturalistico, artistico e al suo notevolissimo peso urbanistico: resterebbe comunque un bene bisognoso di continua assistenza economica da parte del Comune, che ne è l’ente gestore, per la manutenzione del verde, dei viali, delle cose e la sorveglianza della security. Un idrovora permanentemente in funzione, l’aspirapolvere più potente infilato nelle tasche dei cittadini. Come ogni bene culturale anche la Villa Comunale ha dunque bisogno di auto mantenersi. Di essere messo nelle condizioni di autonomia economica. E’ possibile? Certo! Non sono tanto le condizioni di degrado fisico in cui versa a essere però l’impedimento per la sua rinascita. Ragioniamo. In quali attività s’intrattenevano un tempo i frequentatori della Villa? C’era chi passeggiava in calesse, chi discuteva, civettava, s’incontrava; più tardi la villa diventò il paradiso delle mammeconbambino e delle balie che portavano i cuccioli di uomo a loro affidati a giocare e consumare le energie dell’età dei giochi. Non mancarono poi i pattinatori, gli anziani in cerca di pace, sole e panchine. Bruscamente la mutazione genetica del frequentatore storico portò nella Vila piccoli rapinatori e teppaglia assortita. Oggi sono pochi quelli che desiderano inalare le polveri gialle di una pavimentazione inadatta come una granita al polo nord. Basterebbe forse che gli alberi tornassero rigogliosi e i vetri della cassa armonica riprendessero le antiche colorazioni? Le mutazioni che si sono verificate nella domanda globale del mercato turistico cittadino tendono a una maggiore sofisticazione della stessa. Ciò significa che il consumatore turista ha mutato le proprie richieste in termini di una maggiore articolazione dell’offerta ricettiva, di un miglior rapporto fra prezzo e qualità di una crescente consapevolezza ambientale e di una più elevata mobilità durante il soggiorno. Il ripristino della qualità culturale turistica ed estetica della Villa oggi richiede un passo avanti che, alla luce della sentenza del Tar Lazio per i direttori di Museo stranieri appare quasi impossibile. Eppure il segreto dell’impresa è tutto qui: imprenditori del settore capaci, italiani o stranieri non importa se capaci, un progetto blindato. C’è da chiedersi per quale follia autodistruttiva un imprenditore dovrebbe decidere di impegnare capitali in un impresa che un Tribunale potrebbe facilmente rendere nulla. La villa tornerebbe a vivere e tutti gli interventi necessari a tenerla in buono stato sarebbero continuamente fatti. La soddisfazione del pubblico tornerebbe al primo posto. Non è un modo di pensare nuovo e sconosciuto all’Europa: le monarchie di un tempo cercavano di avvalersi dell’intelligenza e dell’arte dei migliori e non facevano caso alla loro nazionalità e provenienza. E’ così che oggi ci abbiamo in città Chiese e palazzi progettati da non napoletani, quando il Regno di Napoli era uno stato e un fiorentino era un forestiero. Il cardinale Mazzarino era abruzzese, e il banchiere Necker svizzero e furono ministri di Francia tra il Seicento e il Settecento. Il National Trust in Inghilterra gestisce i giardini che sono tra i più belli e godibili del mondo. Il famoso giardino invernale di Anglesey Abbey oltre alle bellezze naturali offre anche la possibilità di sentire il coro del King’s College ogni pomeriggio. Noi abbiamo la Cassa Armonica: il valore turistico di un concerto, in un magnifico giardino, tutti i giorni non è sottovalutabile, specie in funzione delle opportunità di lavoro che potrebbe creare e che in una città come Napoli sarebbero proprio necessarie. “Non mi fermo né al primo, né al secondo, né al terzo ostacolo, perché… come dice quell’antico detto della provincia di Chiavari “Chi si ferma è perduto!” Totò nel film “Chi si ferma è perduto” di Sergio Corbucci.