ANCORA SULLA RIPUBBLICAZIONE DEL MIO LIBRO

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SUL LIBRO CHE RIPUBBLICO! Mi avvio, già domani, a inviare, al mio giovane Editore di Buccino (Sa) il libro La rotazione di Norfolk e la questione meridionale, con titolo, come sapete, cambiato, e qualche ritocco, due di una qualche importanza, sull’Eurozona SUL LIBRO CHE RIPUBBLICO! Mi avvio, già domani, a inviare, al mio giovane Editore di Buccino (Sa) il libro La rotazione di Norfolk e la questione meridionale, con titolo, come sapete, cambiato, e qualche ritocco, due di una qualche importanza, sull’Eurozona e l’Euro, sulla natura geopolitica del nostro paese e la sua governabilità, se sia possibile o no, a quali condizioni e come. Ritocchi migliorativi per efficacia di esposizione e per aspetti estetici, senza cambio alcuno di contenuti e posizioni, nulla ma proprio nulla con il “senno di poi”!  Entro febbraio, forse agli inizi, il libro sarà pronto, venduto online a basso prezzo in versione online, nelle librerie in versione cartacea, più costoso perchè più costosi i costi tipografici su carta. La pubblicazione dovrebbe avvenire, così mi assicurano, in tempi assai rapidi. Per invogliarvi vi invio un capitolo non molto lungo, che nella rilettura ho trovato assai più bello di quanto ricordassi: COSA E’ L’ITALIA CON IL SUO MERIDIONE? Mi si perdoni il narcisismo, si legge in un fiato e converrete con il mio giudizio “imparziale”! L’autoironia è il modo migliore di sfuggire al narcisismo! E’ un capitolo non ritoccato, intatto, forse il più ispirato del libro! Il libro è un racconto sull’Italia, l’Europa e il Mondo, nulla a che vedere con il “meridionalismo”, parla del Meridione e delle isole quanto del Settentrione, i riconoscimenti avuti sono stati assai importanti, fanno pensare a qualcosa di buono, utile all’avventura dell’uomo sulla terra, agli italiani e ai meridionali innanzitutto, dice cose che oggi stanno accadendo, nulla di più va detto, quei piccoli miglioramenti che andavano fatti, come ho detto, li ho fatti! Sta a voi decidere se valga la pena di leggerlo con le orecchie, ascoltarlo, cioè! Lo so che è cosa difficile oggi, in tempi in cui non ci si ascolta più, assai rissosi, truculenti, nel linguaggio e nell’azione, però…che costa sperarci? Forse una delusione, cosa volete che sia una delusione di fronte alla generosità di un tentativo che va fatto, che appaga di per se stesso, come solo può appagare chi, con esso, è convinto di aver dato il massimo di se stesso al suo paese?   COSA SONO L’ITALIA CON IL SUO MERIDIONE? Cos’è l’Italia, “espressione geografica” metternichiana, patchwork cavouriano, risulta degli equilibri europei, terra di contesa tra spagnoli, inglesi, francesi e tedeschi, blocco marmoreo da attraversare con un lampo e saldare con una fiammata di Mazzini e Garibaldi, Monarchia o Repubblica, scranno del Sovrano del mondo? Forse ciascuna di queste cose e nessuna di esse, in ogni caso creatura delicata ed esposta che solo una mente svelta e una volontà ferma potrebbero tenere insieme, unita e forte, mescolando e temperando i suoi colori con sapienza e sagacia, rendendola flessibile perchè, flettendosi ai venti che la scuotono, non si spezzi, elastica senza che si allunghi a dismisura, creando distanze incolmabili tra le sue diverse parti. L’Italia, il Mezzogiorno in primo luogo, è terra multicolorata che colora le menti di chi sa attraversarla. E’ terra per un Odisseo, “mente colorata”, ma capace di sintesi potente. Ciò di cui la nostra unità non ha bisogno è un’armatura rigida, burocratica, sempre sul punto di spezzarsi e frantumarsi, ogni qual volta i continenti vengano a un cozzo tra loro. Ha bisogno, piuttosto, di un’armatura antisismica, che, si sa, quanto più oscilla tanto più tiene. La capacità proteica, trasformativa, del nostro paese può diventare trasformismo, salto della quaglia, rapido e inopinato cambio di alleanza, guicciardiniano opportunismo che ci rende inaffidabili agli occhi degli altri, insicuri e indecisi nei nostri comportamenti, tanto più quanto più guasconeschi essi appaiano. La stessa capacità proteica, però, sotto un colpo d’occhio ampio e lungo, che coglie i rapporti e li governa, può diventare machiavellico senso dell’opportunità e dell’equilibrio, duttilità che non cade nel cambiar bandiera ad ogni cambiar di vento, opportuna innovazione al cambiare delle circostanze, sottile e sensibile barometro, genio italico autentico, punto di riferimento, non di incertezza e di crisi, per la comunità internazionale. L’Unità d’Italia, per come avvenne, non poteva non esaltare tutti i nostri vizi e convincerci dell’inutilità di tentare di governare gli italiani, le sue mille genie. Tutto ciò sta al fondo del morbo della ingovernabilità esploso con violenza definitiva dopo la sconfitta del ’45, preceduta da atteggiamenti stentorei quanto velleitari e da cedimenti improvvisi risoltisi in fughe precipitose e umilianti. Tutto ciò sotto lo sguardo di un mondo un po’ divertito e un po’ sprezzante, un po’ ammirato e un po’ indulgente, oggi costernato. Noi, di converso, ci pavoneggiamo e ci vergogniamo tra il gigionismo, il buffonesco e il finto pudore, non troviamo per il nostro ondeggiare “un centro di gravità permanente” che lo tenga fermo, libero e vibrante. La pazienza di Cavour e l’audacia di Garibaldi non trovarono la quadra, il grande errore fu il modo con cui si convinse il Mezzogiorno all’unità. Non si trattò, certo, di arte persuasiva, di logos, ma di bruta forza. Questa unità, in quelle forme, non poteva mai essere sentita vera, per dirla al modo che piace ai napoletani, non fu “verace”. Fu una vongola, ma non verace. Si colorò di ipocrisia e retorica di bassa lega, si tentò di inculcare ai giovani del Mezzogiorno che, pian piano, lentamente, si scolarizzavano, il mito della guerra all’austriaco che il Mezzogiorno mai aveva combattuto, che il meridionale solo come “carne da cannone” combattè nella “grande guerra”, non al suo confine, ma a quello settentrionale, orientale. Dei Borboni e di tutti gli occupanti del Mezzogiorno si persero le tracce, l’epopea del Settentrione divenne la nostra: Brescia la “Leonessa”, le cinque giornate di Milano, Venezia e la sua Repubblica, i giovani eroi di Curtona e Montanara, la più vicina Repubblica Romana di Garibaldi, i trecento giovani e forti, per di più belli, da noi trucidati, divennero i nostri miti e la nostra vergogna.Incredibile al pensarci, l’Unità si fece nel 1860 in termini sabaudi e cavouriani, ma essa era così prosaica da avere bisogno della retorica del ’48, mazziniana e garibaldina, tesa a dissimulare questa prosaicità, questa unità più frutto di diplomazia che di epicità. Dei briganti e delle rivolte meridionali non si parlò, il Mezzogiorno venne cancellato dall’immaginario non solo del paese, ma di tutta la gioventù meridionale che si alfabetizzava. Esso viveva solo nei contadini e nel popolino, nei riti rurali e del popolino urbano, e lì, solo lì, ancora si trovano, se non nel ricordo sicuramente nei comportamenti truffaldini, intrinsecamente ostili e ben mascherati, clandestini. Si trova nel sommerso cui viene rifiutata e impedita l’emersione nel mentre che se ne invoca l’eliminazione, come al solito, con la magistratura, la polizia, i carabinieri e – perchè no? – l’esercito. Panebianco, di Contursi Sele, invoca, infatti, dalle colonne del Corrierone, misure draconiane. E’ un po’ il vezzo di certa intellighenzia meridionale che vive nell’Impero del bene, specialmente quella più avvinta dal mito della modernità, quello di parlare male dei meridionali. Questo sommerso, questo stato di guerriglia permanente, ebbe inizio formalmente, per prima, con la camorra, con l’Onorata Società. Se si considera la cosa dal punto di vista militare, la vera guerra che si dovette affrontare nel Mezzogiorno, per convincerlo, quella col brigantaggio, era del tutto improbabile che potesse reggerla la truppa garibaldina. Questa guerra, quella vera, la vinse l’esercito piemontese che dovette passare da 15.000 a 125000 effettivi per avere la meglio in molti anni. Ciò sta a dimostrare l’estrema risoluzione dello Stato sabaudo che non poteva permettersi un Borbone vincente con i forconi dei contadini che in genere abbattono i tiranni, non li difendono, né un Vaticano trionfante, ormai irriducibilmente ostile a quella parte d’Italia, la cui intellighenzia, ma non il popolo, aveva accettato, sia pure con qualche riserva, la via piemontese all’unificazione. Il Sud doveva, a questo punto, essere parte del Regno d’Italia ad ogni costo e dovette esserlo a un costo molto più alto del previsto, costo che andò ad aggiungersi al suo debito pubblico che rese così onerosa il cambio della moneta e l’imposizione fiscale nel Mezzogiorno, ben altrimenti abituato dal Borbone, senza che nulla cambiasse e potesse cambiare per la sua base produttiva, se non in peggio, senza che potesse cessare l’esazione dei latifondisti. Ciò, senza bisogno di andare a guardare i numeri, spiega il drenaggio di ricchezza del Sud, i drammatici flussi migratori, costanti della storia dell’Italia unita, riprese anche oggi con l’Euro e la migrazione dei giovani diplomati e laureati. Non dice niente l’improvvisa ripresa dell’emigrazione e la contemporanea introduzione dell’Euro? Se ci fosse stato un dubbio, questo era fugato: il Regno d’Italia doveva reggersi, nel Mezzogiorno, sulla vecchia macchina del consenso, garantita dai meccanismi di persuasione e di coercizione delle due potenze del Medioevo, la Chiesa e il latifondismo cui, come al solito, si aggiungeva l’ennesimo re venuto da fuori. Così doveva andare, un po’ per caso un po’ perchè voluto, Amen! Recriminare non vale a niente se non a dare munizioni all’intercessore, quale è la classe dominante, non dirigente, nel Mezzogiorno, perchè essa si goda i frutti del risarcimento dei danni sofferti dal popolo. Dal 1860 al 1950 poco cambia in questo scenario. Poche cose, anche se significative, come il progressivo autonomizzarsi della Sicilia e il graduale sganciarsi della Puglia dal campo di attrazione di Napoli. Non saltano, tuttavia, equilibri consolidati nei secoli, anche se essi arrivano, ormai logori, al dopoguerra e al confronto che si apre tra le nuove potenze emergenti, in una Europa occidentale ormai spossata, non più potenza mondiale. Ben altre potenze, che le piccole nazioni europee, cominceranno a prendersi cura della nostra sempre più lunga penisola. Altri giochi, altri gioghi! Roba non certo alla portata degli esili partiti risorgimentali! Doveva tornare in campo l’unica vera cultura nazionalpopolare, quella cattolica. Essa farà cambiamenti radicali perchè nulla cambiasse, prima di tutto cambierà, radicalmente, l’atteggiamento della nazione nei confronti del Mezzogiorno, ne farà una “questione nazionale” e, invece di lasciarlo a se stesso, come fino ad allora era sostanzialmente stato, vi interverrà massicciamente, ma sempre venendo da fuori, dal Nord. L’orientamento dei vecchi gruppi dominanti settentrionali, che oggi, chissà perchè, chiamiamo “poteri forti”, sarà quello di riconfermare i vecchi equilibri Nord-Sud, ma lo dovrà fare in un nuovo quadro nel quale si dissolverà il vecchio tipo di latifondismo, ne apparirà un altro, quello di Stato, ovvero i grandi monopoli di Stato o i beni, partecipati in forma maggioritaria dallo Stato, che il fascismo aveva già creato in risposta alla crisi del ’29, che la D.C. provvederà a ingrandire e moltiplicare, sia nella forma dell’economia produttiva di beni che in quella produttiva dei servizi, sia su scala nazionale che locale, in un crescendo impressionante, come impressionante sarà la crescita del debito pubblico, con la sempre più convinta complicità della sinistra socialcomunista. Il bene di Stato sarà il nuovo fondo cui i rampolli dei vecchi latifondisti e della piccola-media borghesia rurale, inurbati, accederanno, attraverso le professioni liberali, le baronie universitarie e tutto l’indotto che da entrambe, spesso unificate in una sola persona, dipende. Nasce la rendita urbana parassitaria che sostituisce quella agraria, anche la malavita si inurberà, a Napoli si aggiungerà a quella che sempre urbana era stata. Le cose, infatti, dovevano necessariamente cambiare, per ragioni ineludibili, sebbene l’operazione sia stata molto più esteriore di quanto si creda. Il cuore delle moltitudini è rimasto lontano, molto più lontano di prima, il detentore del potere continua a comandare, molto più di prima, ma non a dirigere. Restiamo all’interno del concetto gramsciano di “rivoluzione passiva”. Si trattò, infatti, di una tenuta del blocco di potere nel Mezzogiorno nell’ambito di una sua riconversione e di un suo riciclaggio all’interno di una economia e di una democrazia corporate, sviluppo dell’eredità fascista. Si trattò di riconversione e riciclaggio, di riforma, non di rivoluzione di popolo. Occorre raccogliere questi cambiamenti, che avrebbero lavorato nel profondo, in un concetto unitario, non semplicemente elencandoli uno ad uno. Essi si sono svolti al costo di concessioni sempre più onerose al vecchio blocco di potere del Mezzogiorno, irriconoscibile nelle forme che verrà assumendo, uguale, al fondo, nelle sue caratteristiche, un dominio fatto di rendita e di rapina delle moltitudini, le quali provvederanno a arrangiarsi in altro modo. I costi di questo dominio non potevano che crescere costantemente. Costante di questi cambiamenti è il loro effetto, di cui l’istituzione delle Regioni segnerà la sanzione definitiva e irreversibile: l’indebolimento, fino alla sua abrogazione, della funzione unitaria di Napoli nel Meridione continentale, la sempre maggiore distanza da Palermo e dalla Sicilia, il crescente divergere di Bari e dell’Adriatico. Il Mezzogiorno, disgregato socialmente ma politicamente aggregato, degli Altavilla, degli Svevi, degli Angioini e degli Aragonesi, cede il passo a una disgregazione politica, perdendo una testa di comando senza acquisirne altre. Fa sorridere, in questo contesto, il bluff che si tenta con il partito del Sud, riproponendo come meccanismo aggregatore tutto ciò che ha disgregato.. Si è detto, di questo processo di disgregazione, che esso avrebbe posto fine alla questione meridionale, quando questa disgregazione è, invece, la vera e unica questione del Mezzogiorno, il fatto che non lo si riesce a governare nei suoi interessi unitari, che rimangono intatti. La “questione meridionale” consiste nella perdita di autonomia che comporta la scomparsa di un punto di equilibrio sovrano, quale che sia il luogo ove ha sede o i punti in cui si articola. E’ certo che oggi è improponibile, per fortuna, un ruolo integralista di Napoli. Oggi si hanno tante questioni regionali che non fanno, insieme, nemmeno mezza questione! Il fatto che non vi sia una questione meridionale, che nessuno sappia più sollevarla, è, oggi, il dramma finale del Meridione. I cattolici democratici sono gli autori di questo capolavoro finale. E’ quanto succede quando il cattolico, che, per definizione, come dice il suo nome, è il rappresentante dell’intero, si disperde e si perde nelle parti, quando diventa moderno, protestante e nichilista, alla maniera dei moderni. Come Napoli, il cattolico, nel Sud, ha perso il suo cuore. Forse c’è ancora, ma per entrambi si tratta di andarlo a cercare tra i rifiuti tra i quali si è  disperso. Rifiutato tra i rifiutati è il popolo, il demos, la tribù!.