Dal 2014 è alla guida del Polo Tecnologico di Navacchio, un luogo in cui ‘si respira’ innovazione, nato alla fine degli anni Novanta a pochi chilometri da Pisa. Ma Andrea Di Benedetto è un campano doc. “Per tre generazioni, fino agli anni ’80, la mia famiglia ha avuto un allevamento di bufale nella Piana del Sele tra Eboli e Battipaglia e poi un’azienda agricola. Una pianura molto simile a quella che c’è qui intorno”, ci racconta nel suo ufficio al Polo, parlandoci anche delle novità che sta mettendo in atto per rilanciare questa realtà di 60mila metri cubi complessivi, in cui 60 aziende hi-tech lavorano sui temi della robotica, dell’ICT, delle tecnologie green, del biomedicale. “Andai via da casa a 17 anni per iscrivermi all’università. Decisi di trasferirmi a Pisa perché è una città piccola e tranquilla, ma impregnata di sapere, con degli ottimi atenei: ha 90mila abitanti e 60mila studenti, e orgogliosamente posso dire che di quei 60mila più della metà è del Sud Italia. Dopo gli studi in Ingegneria Informatica, assieme a due compagni di corso decidemmo di non lavorare nelle grandi aziende di consulenza informatica – all’epoca, come ora, c’era un’enorme richiesta di neolaureati o addirittura di quasi laureati come eravamo noi – e di provare a fare la nostra startup, che però negli anni 1999-2000 non si chiamava ancora così: era solo una piccola azienda con tutta la strada in salita”. Così nacque 3logic, azienda informatica ‘artigianale’ che realizza prodotti digitali fatti ‘su misura’ e che attualmente conta circa 20 dipendenti: “La nostra prima sede fu la camera da studente di uno dei miei soci, poi passammo ad un garage – solo questo abbiamo in comune con la Silicon Valley! – e infine acquistammo un’ala di un convento ormai disabitato nei dintorni di Piazza dei Cavalieri a Pisa, vicino alla Scuola Normale, trasformandolo in un luogo tecnologico. La nostra azienda oggi ha 18 anni, non abbiamo mai utilizzato venture capitalist o pensato a un’accelerazione particolare come avviene adesso con le startup: innanzitutto perché all’epoca non esisteva questa cultura e poi perché amiamo la dimensione artigianale della tecnologia. Racconto la mia storia perché è simile a quella di quasi tutte le aziende del Polo”. Lui si definisce un ‘nerd’: “Appartengo a una generazione di informatici che è cresciuta nel mito della tecnologia e che ha fatto di questa uno stile di vita, sentendosi più artisti che tecnici – la sfida nello spostare ogni volta un po’ più in là le capacità dei software, l’eleganza del codice come un’opera d’arte. Ora invece sta nascendo una generazione di veri startupper, gli attuali venti/trentenni, cresciuti con il mito della startup dalla crescita esponenziale e dalla ‘exit’ milionaria. Non è un male, sia ben chiaro, a patto che non ci si illuda che tutte le startup possano diventare Facebook: bisogna avere anche un DNA imprenditoriale, che è mancato alla nostra generazione”.
L’esperienza con la CNA – Di Benedetto è Presidente della CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) Toscana,“la più grande associazione di categoria della regione, con 90mila tra artigiani, pensionati e aziende associate su una regione che ha 3 milioni e mezzo di abitanti. La mia esperienza con CNA è iniziata nel 2008: avevo realizzato di essere un artigiano, anche se digitale, dopo quasi dieci anni di attività e, tramite un amico, entrai a far parte del gruppo CNA Giovani di Pisa, accorgendomi subito che le altre aziende del gruppo avevano problemi molto simili ai nostri. Da quel primo incontro, a cui partecipai quasi per caso, mi sono così appassionato alla dimensione collettiva delle strategie e delle azioni che sono diventato Presidente dei Giovani Imprenditori CNA Pisa e poi Presidente dei Giovani Imprenditori di CNA Nazionale, trascorrendo quattro anni a Roma, che sono stati i più belli e formativi della mia vita. Successivamente sono stato per quattro anni Vicepresidente Nazionale con delega al Digitale e Innovazione e ora sono Presidente di CNA Toscana. Quando ero alla presidenza nazionale dei Giovani CNA cercammo di generare nei nostri associati un cambio di prospettiva: l’Italia è un Paese di piccole imprese, che però si sono sempre sentite la pecora nera della nostra economia. L’ossessione dimensionale, sia quella del ‘piccolo è bello’ che quella del ‘nanismo imprenditoriale’ ci ha distratto dal vero tema: l’Italia può giocare solo la partita della qualità e del ‘su misura’, indipendentemente dalle dimensioni aziendali. Una piccola azienda di informatica, ad esempio, non è una startup, quindi non ha una logica finanziaria di accelerazione, e non è un’industria perché non produce pezzi tutti uguali. Abbiamo cercato di trovare una collocazione giusta nell’immaginario collettivo, raccontando le opportunità di crescita purché non si trascurasse la capacità di realizzare pezzi unici e di grande qualità: insomma mega-artigiani piuttosto che multinazionali tascabili, come eravamo abituati a definirci. Dobbiamo essere orgogliosi della nostra cultura artigianale: l’artigianato è un processo che racchiude un’enorme quota di capitale intellettivo e manuale, di conoscenza e di ‘saper fare’. In Italia siamo competitivi su lavorazioni personalizzate di qualità nella meccanica, nel cibo, nella moda, nell’arredo, ma se ci mettiamo a fare tanti pezzi tutti uguali, magari a basso costo, siamo condannati alla sconfitta rispetto ai giganti asiatici e non solo”.
Navacchio, obiettivo sviluppo -Andrea Di Benedetto è entrato nel Cda del Polo Tecnologico di Navacchio nel 2012, e dal 2014 ne è presidente – dal 2015 esecutivo, essendone anche l’amministratore delegato. “Nei primi anni di mandato da Presidente l’obiettivo era risanare un’azienda che aveva una perdita di 430mila euro l’anno su un milione e mezzo di fatturato, anche per una scelta dei soci che ritenevano quasi ineluttabili continue perdite di esercizio di Polo Navacchio SpA per permettergli di supportare il sistema imprenditoriale e tecnologico del territorio. Nel 2015 i soci hanno chiesto al nuovo CdA di cambiare strategia per migliorare la qualità del servizio e per poter mantenere la partecipazione pubblica visti i vincoli della legge Madia. Abbiamo realizzato un piano di risanamento che permette ai soci pubblici di non liquidare le quote – e quindi la società – riportandola in utile entro il 2020, insieme ad un’operazione di ammodernamento dei servizi e dell’immagine del Polo. Oggi qui lavorano 600 persone, ci sono 45 aziende e 15 startup, con una crescita media annua del 10% sia per quanto riguarda gli addetti che le aziende, che i metri quadri occupati. Ora ci stiamo concentrando sullo sviluppo: ad aprile è in partenza un percorso di accelerazione per le startup in collaborazione InTarget, azienda nata qui a Navacchio nel 2001, che adesso ha sedi anche a Milano e Lugano, 130 dipendenti e cresce del 20-30% l’anno e che ha un suo fondo d’investimento e vuole finanziare le migliori startup”. Il percorso di mentoring è realizzato nell’incubatore del Polo Tecnologico, con docenti esterni e investitori locali, per trasmettere ai nostri tecnologi la capacità di definire un prodotto e una strategia di sviluppo. Stiamo lavorando a un forte potenziamento del settore Education con Andrea Bonaccorsi, membro del CdA del Polo e Professore ordinario di Economia e Management dell’Innovazione all’Universita di Pisa, attraverso la costruzione di un palinsesto formativo che vada dalle soft skill alle competenze business. Per ultimo, stiamo portando avanti una serie di attività sull’open innovation, in partnership con CNA – ovviamente, ma che indipendentemente da me associava già una buona parte delle aziende del Polo –, ma soprattutto con Confindustria e Federmanager Pisa, che è guidata dalla Vicepresidente del Polo, Cinzia Giachetti, per innestare competenze manageriali e relazioni con aziende di dimensione medio/grande per percorsi di partnership industriale e corporate venture. La vera ricchezza di questo luogo è il capitale umano, che ha competenze tecnologiche elevatissime nell’ICT, nella robotica, nei Big Data, nel biomedicale, che sono i punti di forza dell’Università di Pisa, della Scuola Normale e della Scuola Sant’Anna. Dobbiamo invece migliorare nelle competenze imprenditoriali: il vero senso del Polo Tecnologico è colmare il gap tra tecnologia e business, trasformare la nostra capacità tecnologica in impresa di eccellenza”.
Pa.Ci.