Un restauro conservativo per togliere tutto e riportare alla luce “un’architettura libera da ogni orpello in modo che fosse un punto di incontro universale per arte e cultura”. È quello voluto per l’Antico Arsenale di Amalfi da Lia Rumma, nome noto nel mondo dell’arte, gallerista che ha nella sua scuderia nomi che vanno da Marina Abramovic a Vanessa Beecroft, Alfredo Jaar, William Kentridge, Anselm Kiefer, Joseph Kosuth, Ilya & Emilia Kabakov, e Haim Steinbach, solo per citarne alcuni. Un restauro necessario per portare avanti un progetto complesso che ha il suo fulcro in quello che accadde nell’ottobre 1968, quando grazie a Marcello Rumma, illuminato collezionista, editore e mecenate, e curata da Germano Celant, si tenne proprio nell’Arsenale dell’ex repubblica marinara la mostra che internazionalizzò l’Arte povera.
“L’unico lavoro che si poteva portare lì in questo momento era proprio quello di Kentridge, More Sweetly Play the Dance, un’opera del 2015 dedicata allora all’epidemia di Ebola, ma ripensata dall’artista per quello spazio e realizzata nonostante lui sia bloccato in Sudafrica” spiega. Di quell’afflato verso la libertà, verso la rottura delle regole quando diventano limiti che è stato il fil rouge del ’68, “è rimasto molto. Sono una testimone di quel momento di passione e di ragione. La protesta degli artisti a Venezia era un grido per riavere libertà a liberarsi dalle burocrazie. Anche oggi, nel lavoro di Kentridge, la danza e il muoversi incalzante dei personaggi è un segno di questo desiderio di cambiamento e di energia”. E anche in quell’ottobre magico per il ruolo dell’Italia anche nell’arte contemporanea c’era “Michelangelo Pistoletto che portava in giro come un pifferaio magico per i vicoli di Amalfi tutti, coinvolgendoli in una processione per la sua istallazione-performarce ‘Monumento di stracci’ come Kentridge”. La processione “che ci coinvolge tutti – ribadisce Lia Rumma – e ci indica che c’è la necessità di stare insieme. Il digitale è stato importante, ci ha trattenuto in contatto, ma è fondamentale la fisicità, potersi toccare, creare insieme energia”. Il digitale dunque “è uno strumento come altri, ma ora c’è lo stesso grido di necessità e speranza di allora”.
Il rapporto tra arte e mercato, sempre più sbilanciato verso il secondo polo, non spaventa la gallerista, che l’ha già affrontato negli anni ’80 a Basilea: “Lì ho portato la mia piccola rivoluzione che mi costò l’espulsione dalle fiere a lungo. Contro un mercato prevaricatore rispetto l’arte, misi uno striscione nel mio stand e nessuna merce. “Lia Rumma non è più un mercante d’arte ma un collezionista di nuova cultura”, scrissi. Detto questo, il mercato non è il diavolo, ma il collezionismo è fondamentale. Ci deve essere un equilibrio tra idee e oggetti dietro questo mercato”. Ma dietro questa prevalenza, avverte, “ci sono motivazioni economiche e politiche. Bisogna riflettere bene. Non bisogna mai perdere di vista l’arte e la cultura. Solo così si potranno far prevalere le idee rispetto al mercato. Per l’arte moderna, “l’Italia ha molto poco, il minimo. Non abbiamo strutture. Siamo da soli contro tutti. Possiamo anche essere Samurai, ma non vinciamo”. Per la gallerista, “l’Italia deve dare attenzione all’arte alla cultura, a maggior ragione all’arte contemporanea – insiste – perché l’arte è fatta anche di innovazione e di idee e queste due cose sono motori della società. Quindi servono strutture. Altrimenti, il nostro è un discorso isolato per quanto importante possa essere”. Per questo, l’esposizione di Kentridge nell’Arsenale di Amalfi, visibile fino a dicembre, “è un nodo cruciale, perché quello è un luogo pubblico. E mostra come anche un piccolo paese può produrre idee internazionali, esattamente come nel ’68”. Il lockdown agli artisti “è costato difficoltà nel loro lavoro. L’abbiamo visto con Kentridge, anche se lui ci ha guidato passo passo. Per l’arte come per tutto, è importante stare insieme. Il digitale è solo uno strumento, ma la vita è altro. Vita e Arte si parlano anche attraverso l’artista ma anche attraverso le energie che il contatto fisico produce”. Ad Amalfi, anticipa all’AGI, Lia Rumma porterà un altro progetto “straordinario”, l’artista egiziano Wael Shawky, autore di una trilogia sulle crociate guardate dal punto di vista arabo “che poi si uniscono alla sua Chanson de Roland che potrebbe essere ospitata sulla scalinata del Duomo”. Un lavoro “che è in relazione forte con l’Arsenale e con quel territorio perché Amalfi è stata una repubblica marinara e quindi si è scontrata e anche incontrata con il mondo orientare. E un tema che una forte connessione con il moderno e con la cronaca”.