Arthur Rimbaud al Consolato francese con il Centro Studi Erich Fromm

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In foto Laurent Burin des Roziers

“Mentre discendevo i Fiumi impassibili, Non mi sentii più guidato dai bardotti: Pellirossa urlanti li avevano bersagliati inchiodandoli nudi ai pali variopinti. Ero indifferente a tutto l’equipaggio, Portavo grano fiammingo o cotone inglese. Quando coi miei bardotti finirono i clamori, mi lasciarono libero di discendere i Fiumi. Nello sciabordio furioso delle maree, io l’inverno scorso, più sordo del cervello d’un bambino, correvo! E le Penisole andate non subirono mai sconquassi più trionfanti. La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli. Più leggero di un sughero ho danzato sui flutti che si dicono eterni avvolgitori di vittime, dieci notti, senza rimpiangere l’occhio insulso dei fari! Più dolce che per il bimbo la polpa di mele acerbe l’acqua verde filtrò nel mio scafo d’abete e dalle macchie di vini azzurri e di vomito. Mi lavò disperdendo l’ancora e il timone. E da allora mi sono immerso nel Poema del Mare, Intriso d’astri, e lattescente, divorando gli azzurri verdi; dove, relitto pallido e rapito, un pensoso annegato a volte discende; dove tingendo a un tratto le azzurrità, deliri e ritmi lenti sotto il giorno rutilante, più forti dell’alcol, più vasti delle nostre lire, fermentano gli amari rossori dell’amore! …” ( tratto da “Il battello ebbro”): Martedì 18 febbraio, presso la mediateca dell’Institut Francais di Napoli, Palazzo Le Grenoble, in via Crispi n. 86, sede del Consolato Francese a Napoli ha avuto luogo il concerto poetico – musicale : “ARTHUR RIMBAUD: incontro con la poesia post romantica..” a cura di Raffaele Piscopo, con il Tecnico musicale Gennaro Navarra. Una sede prestigiosa per un evento organizzato dal Centro Studi Erich Fromm, il cui Presidente Silvana Lautieri ha ringraziato il Console Laurent Burins es Roziers per la cortesia di averlo ospitato; un recital poetico musicale su Arthur Rimbaud per un incontro con la poesia post romantica e simbolista , con la voce recitante di Raffaele Piscopo , che ha scelto appositamente alcuni brani e ha condotto la Direzione Artistica, coadiuvato da Gennaro Navarra che ha reso possibile una musica suggestiva di accompagnamento alle declamazioni. Il Presidente Lautieri ha sottolineato il valore ricevuto nel tempo dal Centro che vanta proseliti di un certo prestigio , da ben 30 anni con un Periodico “Essere”, di cui è Direttore Antonio Talamo. Il periodico reca firme imponenti e a breve sarà ricordato in una ricorrenza particolare. Il Presidente Lautieri ha ricordato anche la ‘mission’ del Centro che è sempre stata costantemente e coerentemente portata avanti: ” l’uomo deve riappropriarsi di un accordo perduto che può restituirlo a quella dimensione spirituale che lo riscatta dal limite contingente “. Tra l’altro ha anche ricordato le nuove iscrizioni al Centro, tra cui l’eminente presenza del Presidente del Circolo Nautico Posillipo , Vincenzo Semeraro, che per primo ha voluta legare ad una sede sportiva di prestigio, il valore della cultura come ulteriore medicina del corpo. . La sede diplomatica offre l’enclave ideale per questi appuntamenti, visto che il Consolato Francese attraverso anche la sua Ambasciata, vuole migliorare i rapporti con il nostro Paese, e soprattutto lo vuole fare con la cultura che ha in questo caso una marcia in più, dal momento che la storia francese e quella italiana, con particolare riferimento a Napoli, ha molti punti di convergenza e condivisione . L’evento è stato preceduto da una nota di presentazione da parte dell’Ing. Bruno Russo, giornalista e consigliere del Centro, che ha ricordato come la Poesia di Arthur Rimbaud abbia raggiunto vertici di straordinaria bellezza proprio a Parigi, in u periodo particolare post romantico, ove il simbolismo prendeva piede e iniziava una grande fase intellettuale in tutta Europa, dovuta al fascino delle scoperte in materia scientifica , che non potevano non influenzare anche la cultura e l’intelletto , e la cosa molto probabilmente investì anche il tortuoso cammino di un grande poeta come Rimbaud, che aveva riversato nel verso una grande sensibilità di uomo senza darsi alle convenzioni e alle mode letterarie, finendo anche per attraversare un periodo finale della sua vita, ove abbracciò maggiormente lo studio della scienza e dell’ingegneria. Il Poeta a cui sono state attribuite a torto delle definizioni irriverenti, come “malato”, “maledetto “, si rivela nei suoi versi un grande “veggente “che trae dal profondo la propria voce, attraverso un programmatico ”sregolamento “ di tutti i sensi e trascrivendo il risultato in un linguaggio dai significati stravolti. Rimbaud riversa nella scrittura una carica aggressiva che spezza lo schema metrico e sconvolge la lingua nobile della migliore tradizione letteraria, contaminandola senza nessuna pretesa di natura sociale, al lessico delle bettole. Quindi un ribelle incantatore , insofferente di ogni legame , che gioca in una strofa gli effetti del proprio disgusto, con tale intensità da decomporre nell’esorcismo verbale l’intera sua dimensione umana e poetica. Raffaele Piscopo ha finalizzato con toccante declamazione poetica , coadiuvata dalla leggiadria di una tenue colonna sonora del Tecnico Gennaro Navarra, sottolineando alcuni passi e definizioni che si vuole dare al Poeta Rimbaud: “ Poeta, Io sono e voglio essere poeta e veggente. Voi non mi capirete . Significa giungere all’ignoto attraverso la confusione di tutti i sensi …i pugni stretti nelle tasche sfondate e anche il mio palandrano diventava fatale…quanto splendidi amori ho sognato allora…l’orsa maggiore mi facevano da ostello”. Di seguito Raffaele Piscopo ha declamato: da POESIES/POESIE – “Ma bohème/La mia Boheme”; “Sensation/Sensazione”; “Ophèlie/Ofelia”; “Bal despendus/Il ballo degli impiccati”; da DERNIERSVERS/ULTIMI VERSI- “O saisons o Chateaux/O stagioni o castelli”; da LES DESERT DE L’AMOUR/I DESERTI DELL’AMORE-”Avertissement/Avvertenza”; da UNE SAISON EN ENFER/UNA STAGIONE NELL’INFERNO – “Jadis, si je me souviensbien/Un tempo . Se ben ricordo”; – “Mauvais sang/Cattivo sangue”; -Nuit de L’enfer/Notte dell’inferno”; da DELIRESII.ALCHIMIE DU VERBE/Deliri,II Alchimia del verso”- “Chanson de la Plus Hautetour/Canzone della torre alta”- Faim/fame”; da ILLUMINATIONS/ILLUMINAZIONI-”Viens/Viote”- “Matinèe d’ivresse/Mattinata d’ebbrezza”- “Phrases/ Frasi”. Avendo letto molti libri su Arthur Rimbaud, occorre dire che un solo approccio valido sia quello “misto”. Rimbaud è stato un uomo e un poeta unico, diverso da chiunque altro; non lo si può dunque trattare con assoluta oggettività, pena il ridicolo; ma il suo mito non deve abbagliarci né mutarci in agiografi. Occorre regolarsi come con le belve feroci: prudenza e saldezza, la cui somma realizza un equilibrio. Se abbassi troppo la guardia Rimbaud ti azzanna, se la alzi troppo ti sfugge. Il libro di Jamie James Rimbaud a Giava: Il viaggio perduto (Melville edizioni, 2016), a cura del bravo Fabrizio Ottaviani, risponde a queste esigenze in senso perfetto. James è un autentico appassionato di Rimbaud e dunque avverte: “Attento, lettore: subire il fascino di Rimbaud provoca un entusiasmo spossante”. James prende le giuste misure alla belva e se non la ammansisce, neppure se ne lascia divorare. L’opera indaga la pagina più oscura dell’assurda vita di Rimbaud: il viaggio a Giava. Nella tarda primavera del 1876 egli si arruolò nell’esercito coloniale olandese ma disertò due mesi dopo a Salatiga, un accampamento sulle pendici del vulcano spento Merbabu, nel cuore verde e umido dell’isola di Giava. Il suo nome, presente negli appelli di mattina e sera fino al 14 agosto, dal giorno 15 scompare; e con esso anche il suo proprietario. Abbiamo di nuovo notizie del poeta nel dicembre del 1876 quando si trova a Charleville, dalla famiglia. Il periodo compreso fra agosto e dicembre, durante il quale Rimbaud non scrisse lettere né lasciò tracce di sé, scava un buco nero. James ricostruisce i tentativi, a metà fra eroici ed esilaranti, dei volenterosi che nel corso del tempo hanno provato a riempire quel buco. Paterne Berrichon, il balordo marito della sorella di Rimbaud, ipotizza che il poeta “Errasse nell’isola di Giava nascondendosi entro temibili foreste vergini, dove gli oranghi gl’insegnarono a difendersi dall’assalto delle tigri e dalle sorprese del boa, finché non sopportando più questa esistenza da primate, con la scaltrezza di un indiano, trovò la strada per Batavia sbattendosene delle autorità”. Enid Starkie invece, basandosi sulle notizie a disposizione, compie un’analisi certosina dei biglietti navali internazionali per concludere che Rimbaud poté tornare in Europa (a Queenstown, Irlanda) solo sulla Léonie oppure sulla Wandering Chief. Si sarebbe spacciato per l’inglese Edwin Holmes; un uomo che, a giudicare dai registri, pare sbucato dal nulla e nel nulla rientrato. Si staglia però all’orizzonte un gigantesco problema: secondo la sorella Isabelle, Rimbaud giunse a Charleville il 31 dicembre; invece secondo l’amico Delahaye già il 9… I conti insomma, come sempre quando c’è di mezzo Rimbaud, non quadrano. L’affannarsi furibondo della Starkie e di altri, per forzare la mano al giovane ribelle fa concludere con sarcasmo a Jean-Luc Steinmetz che Rimbaud si diede a una “frenetica gara contro il tempo pur d’arrivare puntuale all’appuntamento coi futuri biografi”. Il libro, snodandosi come un’appassionante e divertente spy story, ne approfitta per dipingere il mondo orientale di allora e di oggi, ma va oltre. James fonde il tema del viaggio e del mistero col più generale quadro delle vicende e delle liriche dell’enfant prodige. Parte da pochi, ma ben chiari e condivisibili presupposti: “Non c’è niente che si possa affermare di Rimbaud il cui contrario non sia altrettanto vero. Il paradosso è l’unica costante. Le sue creazioni diventano più misteriose quanto più il lettore vi si avvicina. Quanto più ci si immerge nella vita di Rimbaud, tanto più essa sembra un acrostico risolto a metà, in cui ogni nuova risposta rende dubbia la precedente. Però, dopo tutto, dire che è impossibile individuare l’itinerario percorso da Rimbaud nel 1876 per andare da Giava a Charleville non è così diverso dall’ammettere che è impossibile stabilire con certezza cosa significhi ‘Il battello ebbro’ “. Per risolvere poi con amarezza, mista alla strana ammirazione che solo Rimbaud sa suscitare: “Pochi anni dopo, in Abissinia, l’ex poeta studierà scienza e ingegneria. Nel 1880 scrisse alla madre pregandola di inviargli ventisette libri, fra i quali alcuni trattati di metallurgia, idraulica, telegrafia nonché saggi dedicati ai piroscafi a vapore, alle immersioni in acque profonde e alla fabbricazione delle candele. La letteratura era completamente scomparsa dalle sue letture. Quante miglia, nel 1876, avesse attraversato dell’oceano che separa lo spirito dalla materia non lo sa nessuno, perché Rimbaud non lasciò traccia della sua vita interiore durante gli anni della sua personale Egira, prima che riconoscesse nell’Africa la sua destinazione finale”. Il buco nero insomma non è geografico ma psichico. James con acume osserva: “Nel periodo del viaggio a Giava l’esistenza di Rimbaud mutò così profondamente che a volte si ha l’impressione che, come in un racconto di Edgar Allan Poe, un lugubre sosia abbia sostituito il giovane brillante che nel 1872 aveva sedotto Parigi”. Del resto l’esperienza di Rimbaud possiede una concentrazione così sovrumana che i cambiamenti, più che succedersi, si sciolgono l’uno dentro l’altro, cosicché discernerli si riduce a un miraggio.

Nella postfazione del curatore, Fabrizio Ottaviani, un altro spunto colpisce. L’abbandono della poesia alle soglie dei vent’anni resta, dei tanti atti scandalosi compiuti da Rimbaud, il più enigmatico e affascinante. Si può provare sana invidia nei confronti di questo ragazzo, capace di staccare la spina da un qualcosa – morto o vivo che fosse – di così grande; seppure infatti la musa lo aveva abbandonato , quante incrostazioni d’orgoglio, angoscia, gioia e dolore dové strappare a viva forza dal nucleo della propria anima? Quanto abisso dové ingoiare? Ottaviani avanza l’ipotesi, cui mai avevo pensato, che “dietro il nostro gridare allo scandalo si celi una forma obliqua di compiacimento. Anche lui, ci diciamo, è stato costretto a sbarazzarsi delle cose più notevoli che possedeva, e che lo intralciavano, per sopravvivere al pari di qualsiasi altra comune bestia darwiniana”.

“ Non concepisco il brusco e irrevocabile silenzio di Rimbaud in simili termini; comprendo che lo si possa fare, ma non ci riesco. Per me vale l’opposto: la sua metamorfosi, benché tragicamente nichilista, lo innalza a vette inesplorate d’autocoscienza e lo scaglia in un luogo ignoto, dove ancor oggi ci attende “.