Aspetti etici relativi al cyberspazio: comportamento e fake news

È consuetudine definire il galateo come un insieme di regole di condotta che regolano le manifestazioni esterne delle relazioni umane. L’etichetta aiuta a preservare l’integrità della società, crea e mantiene un certo ordine sociale, coordina le azioni congiunte degli individui e aiuta a superare possibili tensioni comunicative. In questa qualità, l’etichetta è funzionalmente collegata alla moralità: in definitiva, l’etichetta è una forma di attuazione pratica dei principi morali.
Il rispetto delle regole del galateo consente di mostrare buona volontà e attenzione agli altri, di esprimere loro rispetto, di rendere la comunicazione facile e piacevole. Però con tutte le somiglianze tra moralità ed etichetta, non possono essere identificate: la funzione regolatrice dell’etichetta è di natura piuttosto subordinata e la sua funzione principale, come notato da molti ricercatori, è integrativa-differenziante. L’etichetta garantisce l’integrazione all’interno di un gruppo sociale, conferendo ai suoi membri caratteristiche distintive speciali –modo di salutarsi, parlare, entrare in cauta confidenza, ecc. Tutto ciò consente a questo gruppo di creare nuovi comportamenti onde distinguersi dagli altri. Però al contempo, il galateo su internet (“netiquette”), come nella vita reale, non solo unisce le persone, ma le separa anche, sottolineando le loro differenze di status (genere, età, classe, ceto, stato sociale, appartenenza nazionale, confessionale, ecc.).
Nel loro insieme, le funzioni di integrazione-differenziazione-distinzione consentono ad un individuo di snellire i rapporti sia all’interno del suo gruppo di riferimento che al di fuori di esso, ossia con gli “estranei”.
Non esiste una “netiquette” universale, uniforme per tutti nella società moderna: ogni gruppo socio-demografico e/o socio-professionale sviluppa, insieme a quelle generalmente accettate, le proprie regole di decenza, che fungono da elemento integrante della propria sottocultura, intesa non dispregiativamente ma quale variante-varietà di cultura minoritaria o localizzata in ambiente cyberspaziale. Per cui non sorprende che su Internet si formino norme di etichetta speciali. Nel senso stretto di questa parola, l’etichetta di rete non è etichetta, poiché non svolge (e non può farlo) la funzione principale dell’etichetta tradizionale: la sua funzione di differenziazione – ossia di determinazione del posto dell’individuo nella gerarchia sociale – è meramente virtuale e non comporta fondamentalmente la natura di status, in quanto manca il contatto umano o corporeo come ben volete definirlo. Di conseguenza, prevale nettamente la funzione comunicativa e integrativa della “netiquette”.
Questa funzione si manifesta in due modi. Innanzitutto, è uno degli strumenti per costruire l’identità collettiva dei membri di una particolare comunità virtuale: sviluppando le proprie regole di comportamento uniche, quella società-gruppo virtuale è consapevole di se stessa/o nel suo insieme e si rappresenta per gli altri. In secondo luogo, la “netiquette” promuove l’identificazione socioculturale individuale: la conoscenza e l’attuazione delle sue norme consente a un individuo di confermare l’appartenenza a una determinata comunità, di dimostrare di essere “suo” e non di tutti: in quanto le regole di quella determinata “netiquette” non sono scritte su nessun manuale dell’arcivescovo Giovanni della Casa.
Non è un caso che una sanzione abbastanza diffusa (e più severa) per la violazione delle regole di una determinata “netiquette” di gruppo sia una sorta di espulsione dalla società virtuale, cioè la disconnessione dell’autore del reato da una determinata risorsa Internet. Pertanto, la “netiquette” funge anche da meccanismo di socializzazione e marginalizzazione al contempo.
A differenza delle comunità tradizionali, la possibilità di un’influenza di gruppo su un individuo (ad esempio attraverso l’opinione pubblica) su Internet è limitata. L’anonimato della comunicazione virtuale rende facile evitare la pressione sociale, e quindi l’unico metodo di influenza efficace in un ambiente virtuale è l’inclusione volontaria di una persona nel sistema sociale, la sua interiorizzazione dei valori e delle norme di gruppo. E questo presuppone l’accettazione consapevole di alcuni obblighi, principalmente morali – non importa se condivisi o meno dalla società esterna – da parte di ciascun partecipante all’interazione virtuale. Da questo punto di vista, le norme della “netiquette” possono essere viste come una linea guida che dimostra lo standard di comportamento corretto nel cyberspazio. Pertanto, queste norme sono di natura etica pronunciata.
Un’analisi delle varie versioni delle etichette di Internet mostra che, in generale, le regole non differiscono molto da quelle tradizionali: implicano il rispetto per i partner di comunicazione e si basano sulla “regola d’oro” della moralità del gruppo. Allo stesso tempo, oltre a standard etici universali, ugualmente applicabili sia alla comunicazione reale che a quella virtuale, la “netiquette” contiene anche una serie di norme specifiche dovute alle specificità del canale di comunicazione. Ad esempio, è sconsigliato scrivere messaggi in maiuscolo, che equivale a gridare, in quanto il maiuscolo urta in tal caso il senso della vista e per traslato quello dell’udito; inviare allegati di posta elettronica senza preavviso; esprimersi con turpiloquio; inviare notifiche improvvise; spedire email col campo “Oggetto” vuoto; distribuire “spam”; corrispondenza non richieste; inoltrare pubblicità, ecc.
Tuttavia, si può presumere che con l’ulteriore sviluppo della tecnologia dell’informazione, l’approccio della comunicazione virtuale si omologhi alle solite forme di interazione, fino a che la “netiquette” sarà assorbita all’etichetta tradizionale.
Come noto, la maggior parte dei codici etici giornalistici di solito proclamano la libertà di parola come il più alto valore morale: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere» (Art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani). Su Internet, questa libertà raggiunge la sua massima incarnazione: le istituzioni specializzate perdono il monopolio sulla generazione di informazioni in essa contenute e qualsiasi utente, a un costo minimo, è in grado di progettare e rendere pubblicamente disponibile qualsiasi messaggio senza sottoporlo a altra modifica.
Tuttavia, la specificità di Internet rende più facile, se non dire: provoca, la comparsa di materiali non autentici, antisociali e semplicemente illegali, perché Internet è un media in cui è più facile nascondere, modificare o falsificare l’identità del autore di una dichiarazione. In Internet, infatti, non è mai possibile affermare con certezza chi sia effettivamente l’autore di questo o quel messaggio (se non si tratta di informazioni protette da appositi mezzi crittografici), e il testo pubblicato in Internet può in qualsiasi volta essere modificato oltre il riconoscimento, spostato su un altro server o semplicemente distrutto.
La situazione è aggravata dal fatto che non esistono criteri istituzionali o professionali per la qualità e l’affidabilità delle informazioni su Internet, fatta eccezione per quei casi quando le notizie rilevanti sono accompagnate da indicatori di affidabilità esterni al web (ad esempio, la reputazione dell’autore o dell’istituzione che ha un proprio sito, ecc.), e quindi la comunicazione di massa su Internet risulta totalmente anonima e per quanto vincolante.
I tentativi di risolvere il problema della diffusione di informazioni discutibili su Internet (“fake news”) attraverso la creazione di leggi specializzate e, inoltre, introducendo la censura, incontrano – in piena conformità con i postulati dell’ideologia della rete – risoluta resistenza da parte dei membri della comunità della rete e, di regola, finiscono per fallire. Va tenuto presente che è impossibile dare una definizione universale di cosa significhi “informazione riprovevole”, tenendo conto delle caratteristiche culturali, nazionali e religiose dei diversi Paesi, e quindi lo sviluppo di una politica dell’informazione unificata in questo settore è difficilmente possibile.
Come alternativa accettabile alla censura e ad altre restrizioni legislative, si propone di considerare il filtraggio dei materiali pubblicati sul web utilizzando un algoritmo di valutazione dei documenti elettronici. Il vantaggio di questo approccio è che offre agli utenti la libertà di scelta, consentendo loro di decidere che tipo di informazioni desiderano ricevere. È vero, affinché questa scelta sia veramente consapevole e responsabile, è necessario disporre di un sistema di valori formato (ossia capacità di discernere) – sia per coloro che dànno valutazioni, sia per coloro che sono guidati da terzi, in quanto alla base di qualsiasi valutazione sta l’identificazione del valore: in questo caso le informazioni diffuse via Internet. Pertanto, la metodologia di valutazione del rating (valutazione dell’affidabilità) non può essere efficace senza incrementare la cultura dell’informazione della società nel suo insieme.