Aspetti fiscali e contributivi delle royalties sui marchi

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di Riccardo Di Biase

Il reddito conseguito dallo sfruttamento del marchio come attività d’impresa/lavoro autonomo si ritiene che non possa essere assoggettato a contribuzione presso la Gestione separata Inps, dal momento che trattasi di compensi legati o connessi, certamente, ad un’attività autonoma o d’impresa. Ma andiamo con ordine.
La ratio alla base del tema è che l’attività svolta – in relazione ai redditi da lavoro autonomo – potrebbe ritenersi strettamente connessa ai redditi derivanti dai marchi, poiché la stessa potrebbe generare un patrimonio di conoscenze e competenze. Le stesse possono essere sfruttate per ideare, progettare e realizzare un bene immateriale da cui è possibile trarre un reddito (soggetto a tassazione agevolata) attraverso la mera concessione di utilizzo del bene immateriale. Sotto il profilo fattuale, quindi, non si configura la presenza di un’autonoma prestazione di servizi e/o commerciale tale da implicare l’assoggettamento delle royalties a contribuzione Inps (tralasciando le ipotesi di iscrizione presso le Casse private).
Quindi, i redditi derivanti dall’utilizzo dei marchi commerciali possono essere configurati come una tipologia di redditi “ibrida” che, è sì considerata attinente all’esercizio dell’attività ordinariamente svolta, ma non si riesce a ravvisare una vera e propria cessione di beni o prestazioni di servizi da cui traggono origine le royalties.
A conferma di quanto detto l’articolo 53 del TUIR rubricato “Redditi da lavoro autonomo” prevede che sono considerati redditi da lavoro autonomo anche “b) i redditi derivanti dall’utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore, di opere dell’ingegno, brevetti industriali e di processi, formule e informazioni…se non conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali”. La lettera b dell’articolo 53, in buona sostanza, non richiama i redditi derivanti dall’utilizzazione economica di marchi di fabbrica indi per cui, se il Legislatore avesse voluto ricomprenderli nella categoria del lavoro autonomo – come disciplinato dall’ ex art. 49 comma 3 lett. b del DPR 597/73 -, ne avrebbe dovuto fare esplicita menzione.
Ne consegue che si ritiene giusto quanto considerato a più riprese dalla autorevole dottrina e dalla prassi: tali redditi rientrano fra quelli ricompresi nell’articolo 67 comma 1 lettera l del TUIR, se conseguiti da persone fisiche non in regime d’impresa -le quali realizzano i cosiddetti “passive income”- e che però non vengono menzionati dall’articolo 71 del TUIR ai fini dell’applicazione della deduzione forfettaria (25% o 40%) di spese.
Il problema fondamentale si pone invece per quel che concerne la percezione di questi redditi nel caso di soggetto esercente attività di lavoro autonomo strettamente connessa ai redditi derivanti dallo sfruttamento dei marchi (es. lavoratore che esercita attività di consulenza di marketing per la promozione di un’azienda), in quanto trattasi di redditi che non sarebbero stati conseguiti se non si fosse esercitata quella specifica attività, che genera, come detto poc’anzi, quel patrimonio di conoscenze che può essere sfruttato per generare redditi (dei marchi) “assimilati” a quelli di lavoro autonomo.
Ne consegue che tali proventi possano essere assimilati ai redditi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno, realizzati da soggetti passivi nell’esercizio delle proprie attività (es. avvocati che cedono in uso il diritto su opere attinenti alla propria attività), con la differenza che, mentre l’articolo 53 del Tuir fa espressamente rientrare tali proventi (opere dell’ingegno) nella categoria di redditi da lavoro autonomo, d’altra parte, lo stesso articolo non menziona più tra questi ultimi le concessioni d’uso di marchi di fabbrica.
Se si volesse quindi adoperare questa impostazione, si dovrebbe presupporre che la tassazione agevolata con deduzione forfettaria del 25% o 40% prevista per diritti d’autore si applichi anche al caso delle royalties su marchi, qualora percepite da soggetti esercenti attività “assimilate” a quelle da lavoro autonomo.
Inoltre, ai fini previdenziali, nel caso in cui il soggetto fosse privo di una Cassa privata, ci si potrebbe porre il problema dell’obbligatorietà dell’iscrizione presso la gestione separata dell’Inps. A tal proposito lo stesso Istituto ha previsto che “la norma istitutiva della predetta Gestione separata contempla, tra i soggetti obbligati al versamento, oltre a coloro che producono redditi da lavoro autonomo (ex. Articolo 53, comma 1 del TUIR) anche coloro che producono redditi di cui all’articolo 50, comma 1 lett. c)-bis del TUIR, mentre il reddito sul diritto d’autore è regolato dalla lettera b) dell’articolo 53, comma 2 del TUIR”.
La contribuzione sui redditi derivanti dal diritto d’autore è stata quindi espressamente esclusa dall’Inps, anche in questo caso non menzionando i redditi derivanti dal marchio. Tuttavia, il vecchio articolo 49 del DPR 597/1973 disciplinava al comma 3 lettera b) i redditi derivanti dall’utilizzazione economica dei marchi e delle opere dell’ingegno, e, prima della precisazione dell’Inps del 2013 (di cui sopra) che richiamava l’articolo 53 del TUIR sulla non contribuzione dei redditi delle opere dell’ingegno, i soggetti obbligati al versamento dei contributi alla Gestione separata erano solo quelli “che esercitano…attività di lavoro autonomo di cui al comma 1 dell’articolo 49 del TUIR,…..nonché i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell’articolo 49 del medesimo testo unico…”.
Ne deriva quindi che anche prima della riforma, l’Inps non assoggettava a contribuzione presso la Gestione separata i proventi derivanti dall’utilizzazione dei marchi di fabbrica o commerciali, ancorché rientranti nella categoria dei redditi da lavoro autonomo, così come stessa cosa dicasi per i proventi derivanti dalle opere dell’ingegno.
Seguendo quindi l’impostazione che eguaglia i redditi derivanti dallo sfruttamento del marchio a quelli derivanti dal diritto d’autore ed opere dell’ingegno, percepiti in relazione all’esercizio di un’attività di lavoro autonomo, entrambe le tipologie di redditi potranno essere assoggettate a tassazione con deduzione forfettaria di spese del 25% ex. articolo 71 del TUIR. Il suddetto articolo, da un lato richiama l’articolo 67 rubricato “Redditi diversi”, se percepiti da soggetti non imprenditori, dall’altro fa salvo il disposto dell’articolo 53 del TUIR relativo ai redditi di lavoro autonomo. Allo stesso modo, al pari dei redditi sul diritto d’autore, le royalties sui marchi potrebbero ritenersi esenti da contribuzione presso la Gestione separata dell’Inps.
Contrariamente a questa interpretazione, si rileva che la giurisprudenza costituzionale, a salvaguardia degli interessi che si contrappongono nel rapporto tributario (la garanzia dei contribuenti e l’esigenza di bilancio), ha previsto che l’ambito d’imposizione sia tracciato dal legislatore attraverso l’indicazione precisa di oggetti e soggetti tassabili, con la conseguenza che, in relazione alle norme impositive, è pacificamente escluso che la tassazione possa investire soggetti non espressamente richiamati nelle norme. Allo stesso modo, le norme agevolative -come nel caso di specie, la tassazione agevolata prevista per talune categorie reddituali ex. articolo 71 del TUIR- per esigenze speculari, non possono essere suscettibili di integrazione ermeneutica che trascenda i confini semantici del dettato normativo. Da quanto detto poc’anzi, si potrebbe addirittura sostenere che, non essendo più richiamati dalla legge, quali soggetti tassabili, coloro che percepiscono i proventi derivanti da licenze d’uso sui marchi, i soggetti passivi o non passivi d’imposta, possono non essere assoggettati a imposizione, ma questa è un’altra storia…
In conclusione, la stretta interpretazione che deroga all’imposizione ordinaria dei redditi, nella specie derivanti dalla licenza d’uso dei marchi, dovrebbe ritenersi consentita solo dalla legge. A tal riguardo, essendo stata prevista, prima della riforma del nuovo TUIR, una disciplina derogatoria dell’imposizione ordinaria di questi redditi, sostituita da un silenzio normativo attraverso l’introduzione del DPR 917/1986 (nuovo TUIR), si ritiene coerente, per ragioni di sistematicità e certezza del diritto, continuare ad applicare la vecchia normativa che assimilava i redditi di lavoro autonomo, derivanti dalle opere dell’ingegno, a quelli provenienti dalle licenze d’uso sui marchi.

* Commercialista