Attento a come interpreti il mondo

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di Ugo Righi

Sto discutendo con un’amica, che si crede intelligente.
Per la verità è intelligente, ma quando crede di aver ragione, non c’è modo di farla ragionare.
Il punto è quello complesso delle percezioni e alle visioni del mondo che strutturiamo.
Infatti, come comunichiamo, dipende da come percepiamo dai nostri schemi interpretativi, dai nostri pregiudizi, dai desideri.
Voglio proporre, per evidenziare questa considerazione, una storia che si trova nel libro «La struttura della magia» di Bandler e Grinder.
“C’era una volta un giovane principe che credeva in tutte le cose tranne che tre.
Non credeva nelle principesse, non credeva nelle isole, non credeva in Dio. Il re suo padre gli diceva che queste cose non esistevano. Siccome nei domini paterni non vi erano né principesse né isole né alcun segno di Dio, il principe credeva al padre.
Ma un bel giorno il principe lasciò il palazzo reale e giunse al paese vicino. Qui, con sua grande meraviglia, da ogni punto della costa vide delle isole e, su queste isole, strane e inquietanti creature cui non si arrischiò a dare un nome.
Stava cercando un battello, quando lungo la spiaggia gli si avvicinò un uomo in abito da sera, di gran gala.
«Sono vere isole, quelle?», chiese il giovane principe.
«Certo, sono vere isole», rispose l’uomo in abito da sera.
«E quelle strane e inquietanti creature?».
«Sono tutte genuine e autentiche principesse».
«Ma allora anche Dio deve esistere», gridò il principe.
«Sono io Dio», rispose l’uomo in abito da sera con un inchino.
Il giovane principe tornò a casa al più presto.
«Eccoti dunque di ritorno», disse il re, suo padre.
«Ho visto le isole, ho visto le principesse, ho visto Dio», disse il principe in tono di rimprovero.
Il re rimase impassibile.
«Non esistono né vere isole né vere principesse né un vero Dio».
«Ma é ciò che ho visto».
«Dimmi com’era vestito Dio».
«Dio era in abito da sera, di gala».
«Portava le maniche della giacca rimboccate?».
Il principe ricordava che erano rimboccate. Il re rise.
«E la divisa del mago. Sei stato ingannato».
A queste parole il principe tornò nel paese vicino e si recò alla stessa spiaggia, dove s’imbatté di nuovo nell’uomo in abito da sera.
«Il re mio padre mi ha detto chi sei», disse il principe indignato.
«L’altra volta mi hai ingannato, ma non m’ingannerai ancora.
Ora so che quelle non sono vere isole né vere principesse, perché tu sei un mago».. L’uomo della spiaggia sorrise.
«Sei tu che t’inganni, ragazzo mio.
Nel regno di tuo padre vi sono molte isole e molte principesse.
Ma tu sei sotto l’incantesimo di tuo padre e non le puoi vedere».
Il principe tornò a casa pensieroso.
Quando vide il padre, lo fissò negli occhi.
«Padre è vero che tu non sei un vero re, ma solo un mago?»
Il re sorrise e si rimboccò le maniche.
«Si, figlio mio, sono solo un mago».
«Allora l’uomo della spiaggia era Dio».
«L’uomo della spiaggia era un altro mago».
«Devo sapere la verità, la verità dietro la magia».
«Non vi é alcuna verità, dietro la magia», disse il re.
Il principe era in preda alla tristezza.
Disse: «Mi ucciderò».
Il re, per magia, fece comparire la morte.
Dalla porta la morte fece un cenno al principe.
Il principe rabbrividì.
Ricordò le isole belle ma irreali e le belle ma irreali principesse.
«Va bene», disse, «riesco a sopportarlo».
«Vedi, figlio mio, adesso anche tu stai diventando un mago».
Chiaro vero? I nostri schemi mentali sono a tutti gli effetti utili illusioni che ci aiutano a interpretare la realtà in modo più agevole e veloce, ma che possono essere a volte limitanti.
Il sistema percettivo é, tendenzialmente, auto confermante e limita la possibilità di apprendere cose realmente nuove.
La comunicazione interpersonale é potenzialmente destabilizzante, ci può costringere a un confronto a volte faticoso, ma tanto più utile quanto più ci consente di ampliare la nostra mappa del mondo.
Di fatto, ripeto, quando comunichiamo, stiamo usando la rappresentazione del mondo e le opinioni sono il frutto delle personali elaborazioni.
Di fronte ad una dichiarazione dissonante, rispetto alle proprie convinzioni, la prima reazione é di confutarla, di scoprirne l’errore, di riconfermare che la nostra opinione é quella giusta, o perlomeno, la migliore disponibile.
Questo avviene perché siamo spesso portati ad accostare la realtà in termini «escludenti»: rosso o nero, io o lui, noi o voi.
Ragioniamo in termini antagonistici: o…o anziché e…e.
La realtà è a volte ambigua, sfumata, composta di elementi anche parzialmente contraddittori e coesistenti, per cui sarebbe forse più funzionale un atteggiamento «comprendente»: rosso e nero e magari anche l’arcobaleno, io e lui, noi e voi e così via.
Le persone realmente di valore apprendono attraverso forme di esperienza generativa (non cumulativa).
L’esperienza non è che cosa ti succede ma che cosa fai con quello che ti succede.
Perciò solo la persona che apprende può agire nella complessità e nel divenire e così la sua organizzazione.
Il suo è un apprendimento complesso, possiamo dire ologrammatico.
L’ologramma è un’immagine tridimensionale creata con l’uso del laser.
Con questa tecnica sono combinate molte prospettive diverse di un’immagine e così è la “realtà”.
Quando si vede l’ologramma, si vedono tutte le prospettive nello stesso momento.
E’ come guardare da una finestra: ovunque si guardi si vede cosa c’è dall’altra parte. Immaginiamoci un palazzo a più piani con una serie di finestre tutte pitturate di nero.
Se si sale al primo piano si può grattar via un po’ di vernice da una finestra e guardare fuori.
Si vedono alcune cose, se si gratta da altre parti, se ne vedono anche altre. E così via.
Se si sale di un piano e si compie lo stesso procedimento, se ne vedranno altre ancora. Ogni spazio di visuale darà una prospettiva.
Ciascun pezzo dell’ologramma immagazzina informazioni su tutta l’immagine ma dal suo angolo di osservazione.
Nessuna coppia di “pezzi” potrà dare un’osservazione identica.
In psicologia queste sono chiamate “mappe mentali.”
Ognuno ha la sua finestra che può essere in parte “grattata” ognuno, possiede il suo palazzo, possiamo fermarci al piano terra o salire, possiamo grattare via la vernice o lasciarla. Possiamo anche cercare di vedere dalle finestre degli altri.
Ogni nuova apertura aumenta l’apprendimento, non cancella il precedente e presente colori e sfumature diverse o complementari.
Le onde della luce, visibili, più grandi sono di colore rosso, poi c’è l’arancione, dopo il giallo, quelle ancora più piccole sono verdi quindi il blu e infine le più piccole di tutte sono viola.
Le onde più piccole si chiamano ultraviolette, sono invisibili ma ci sono, le infrarosse, invisibili, ma ci sono.
Ci sono un’infinità di colori nell’arcobaleno.
Provo a dirlo alla mia amica.
Provo a dirle di cambiare per un momento prospettiva, ma siccome si crede intelligente, anche se lo è, non c’è modo di farla ragionare.