Avvocatura, una fuga senza fine

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di Nico Dente Gattola

L’avvocatura italiana vive un momento di grande difficoltà con un numero crescente di professionisti che scelgono di lasciare la libera professione.
Ma quali sono le ragioni di un fenomeno sempre più marcato che appare inesorabile? Di sicuro la crisi economica che attanaglia il paese, fa sentire i suoi effetti nel settore, poiché vi sono minori disponibilità e quindi si cerca di ridurre tutte le spese ed evidentemente il rivolgersi ad un legale non è ritenuta una cosa essenziale.
Tanto più che i tempi di definizione di una controversia sono esageratamente lunghi nel nostro paese e sempre più spesso gli interessati preferiscono rinunziare anziché dover attendere anni.
A voler approfondire la questione, le motivazioni sono molto più profonde e provengono da lontano; la crisi economica ha solo accelerato il fenomeno.
Infatti a dire il vero il malessere che si percepisce oggi nella categoria ha trovato nella pandemia e il detonatore per la definitiva implosione, con la sospensione di ogni attività giudiziaria per un periodo.
Un settore, quello legale che successivamente con un settore che ha risentito delle difficoltà post pandemia, che hanno travolto il nostro paese, in primo luogo delle attività commerciali.
Certo sono state adottate delle misure a sostegno della categoria soprattutto di carattere economico, ma al di là della pregevolezza dell’iniziativa, sono lì a testimoniare, meglio a certificare lo stato di crisi di una professione che sino a qualche anno fa era quanto mai ambita.
Laddove oggi numerosi avvocati hanno partecipato e anche vinto il concorso come direttore di cancelleria e come cancelliere esperto ed in numero ragguardevole ambiscono ad entrare nell’ufficio del processo.
Ufficio del processo, che per altro è l’emblema della precarietà, poiché si tratta in sostanza di un contratto a tempo, una figura che viene assunta a tempo dalla pubblica amministrazione e che scaduto il periodo previsto? si troverà sicuramente senza lavoro.
Per non parlare di altri concorsi, che si preannunziano alle porte e che visto il perdurare di questo quadro interesseranno di sicuro, ancora un numero rilevante di avvocati .
Quello che fa riflettere è che talvolta ci si trova al cospetto di professionisti che hanno allo loro spalle anni di lavoro e che preferiscono rimettersi in gioco, pur avendo un vissuto professionale di anni e maturato una rilevante esperienza.
La questione non può essere ridotta ad una mera scelta di carattere economico, che per carità ha la sua legittima rilevanza, ma non è l’unico aspetto a pesare nella scelta; come dimenticare infatti le condizioni di lavoro, le prospettive e perché no anche le garanzie lavorative e previdenziali.
Chiaro che stiamo assistendo ad un mutamento della percezione della professione forense, che un tempo era considerata come una sorta di approdo definitivo, mentre al giorno d’oggi, sempre con il massimo rispetto che merita, talvolta è ritenuta una tappa della propria vita lavorativa, vuoi per scelta, vuoi per il presentarsi di altre opportunità lavorative: nulla di strano, sotto questo aspetto per carità ma sicuramente indice in ogni caso di un cambiamento .
Una cosa deve essere chiara: qualsiasi scelta prendano si tratta anche di professionisti che hanno scelto di vivere il loro impegno lavorativo, sotto altri aspetti o avvertono il desiderio di fare altre esperienze, perché è inutile nasconderlo è anche questa una ragione.
Più corretto interrogarsi sul perché in tanti aspirino ad una scelta così radicale e se sia fatto tutto il possibile per metterli in condizione di non lasciare la libera professione, con misure di sostegno adeguate a sostegno della categoria.
Ebbene sotto questo aspetto è incontestabile che non sempre si sia operato con buon senso e per l’effettivo bene dell’avvocatura, sotto tutti gli aspetti.
In primo luogo era chiaro da tempo l’insostenibilità per la maggioranza dei professionisti di una cassa previdenziale, per i costi che richiede e per la pensione del tutto irrisoria che un domani erogherà.
Senza dimenticare la pressione fiscale, da sempre troppo forte nei confronti dei liberi professionisti, che si trovano a dover versare somme eccessive all’erario in rapporto a quanto incassato, oltre ovviamente ai costi vivi della propria attività.
Facile dedurre, come in troppe circostanze detratto quanto dovuto, all’avvocato rimane ben poco, per poter condurre con un minimo di sicurezza la propria vita.
Al contrario il legislatore avrebbe dovuto considerare l’avvocatura ed in generale il mondo della libera professione, come un qualcosa da proteggere e valorizzare ; questo non solo per meri motivi di difesa della categoria.
Da più parti si ritiene che la crisi attuale sia dovuta ai grandi numeri che hanno avuto accesso fino a qualche anno fa alla libera professione e che avrebbero finito con l’inflazionare il mercato.
Opinione, parzialmente corretta, poiché è vero che in passato ha superato un gran numero di candidati, ma non perché l’esame fosse più facile, anzi tutt’altro ma piuttosto perché erano davvero grandi i numeri di coloro che partecipavano all’esame di abilitazione.
In altre parole, non può essere indicato come responsabile della crisi il numero di coloro che conseguivano l’abilitazione in passato , poiché ci si trovava( come del resto oggi) al cospetto di un abilitazione professionale e non di un concorso.
Piuttosto sarebbe corretto interrogarsi ed avviare una seria riflessione sulle cause che hanno determinato e determinano ancora oggi un numero così elevato di candidati .
Riflessione che deve partire da lontano, ovvero dall’università dalla facoltà di giurisprudenza che forse ha accolto un numero di iscritti ovunque elevato e che al di là della naturale selezione era difficile che il mercato potesse assorbire.
Non è affatto populistico ritenere che sarebbe stato auspicabile l’inserimento del numero chiuso per l’accesso alla facoltà di giurisprudenza .
Ciò che in ogni casp è mutato, ed è incontestabile sono le certezze che un tempo accompagnavano ogni avvocato, circa la sostenibilità della propria attività, che sta allontanando anche chi era effettivamente convinto della scelta fatta a suo tempo.
Situazione che deriva dalla crisi anche identitaria che vive la libera professione alle prese con strumenti che si affacciano prepotentemente e che il legislatore vuole potenziare ancora di più come la mediazione, o il potenziamento del processo telematico che inevitabilmente creano scompiglio anche nell’utenza.
In tal senso l’avvocatura andrebbe sostenuta in questo periodo di cambiamento con misure che ne tutelino ancor di più il ruolo , perché anche in un sistema come quello che da più parti si prefigura, ovvero con un potenziamento della fase stragiudiziale è opportuno che la figura dell’avvocato resti centrale.
Perché ciò avvenga è auspicabile che siano adottate dal legislatore ulteriori misure che valorizzino ulteriormente il ruolo dell’avvocato all’interno per dire della mediazione; senza è impensabile pensare che possano attecchire misure come gli incentivi fiscali previsti in materia.
Allo stesso modo sarebbe auspicabile che si prevedano misure che agevolino l’uscita dal mondo forense di coloro che vogliano fare una nuova esperienza lavorativa : vuoi per motivi economici o vuoi per la c.d “scelta di vita”, questo non ha importanza .
Misure che dovrebbero prevedere una quota minima in determinati concorsi, riservata a coloro che sono già avvocati : per capirci un po’ come avvenuto in alcuni concorsi che si stanno tenendo durante l’attuale emergenza pandemica.
Solo in questo modo, con misure che intervengano realmente a tutela della categoria si può pensare di superare la crisi attuale, perché la professione forense ha bisogno di misure concrete che devono in primo luogo essere obiettive e non punitive .
Ne vale non solo della sua sopravvivenza ma anche dell’esistenza di una sistema davvero pluralista e democratico, in cui i diritti di tutti anche degli ultimi possono essere tutelati.