«Bene Renzi ma ora detassiamo il lavoro». Boccia: defiscalizzare il salario di produttività accrescerà la competitività del Paese

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Le risposte e gli impegni di Matteo Renzi gli sono piaciuti, l’intervista del premier al Mattino lo ha convinto. «È stato importante leggere che in premessa il capo del governo ha posto la questione meridionale come questione nazionale: per anni c’è stato chi ha pensato che dovesse riguardare unicamente i cittadini del Sud»,dice Vincenzo Boccia, già vicepresidente di Confindustria, esperienza e competenza al servizio dell’impresa di famiglia, le Arti Grafiche insignite di recente di un significativo riconoscimento da parte del presidente della Repubblica. Pensa che siamo ad una svolta per così dire culturale nell’approccio ai problemi del Mezzogiorno? «Io credo che siamo di fronte ad un grande passo in avanti. L’Italia e il Mezzogiorno sono indivisibili e la scelta di Renzi mi pare che lo ribadisca chiaramente: impostazione e visione mi convincono». Basta il credito d’imposta inserito nella Legge di stabilità a soddisfare le attese per il rilancio degli investimenti? «Il nostro problema, e parlo da imprenditore, è che bisogna sempre ridurre il cosiddetto time tomarket, ovvero la distanza che separa l’annuncio dal provvedimento vero e proprio. Di sicuro il credito d’imposta è una misura importante perché interviene sui fattori di competitività del Paese: utilizzando i fondi strutturali per il Mezzogiorno premia le aziende che investono e riduce il global tax rate delle imprese. Nel breve termine significa molto ma deve diventare subito operativo». Vuol dire che perderebbe di efficacia se, ad esempio, i decreti attuativi arrivassero tardi? «Il rischio c’è. Gli errori possibili e dunque da evitare sono almeno due. Il primo: l’annuncio di una misura di questo tipo potrebbe rallentare gli investimenti di chi li aveva già pianificati in attesa che lo strumento diventi operativo. Potrebbe cioè verificarsi addirittura un ulteriore calo degli investimenti normali in previsione dei decreti di attuazione. Il secondo possibile errore: che ci si limiti alla misura, che ribadisco è assolutamente valida, e non si pensi più a trasformare la ripresa in crescita, sfruttando cioè l’opportunità del Mezzogiorno per far correre l’intero Paese. Magari estendendo il credito d’imposta anche al centronord se ci accorgiamo che la misura funziona, come tutti speriamo,e aumentandone la dotazione al Sud». Il premier nell’intervista al Mattino chiede di valutare la portata di questi provvedimenti a fine percorso: che ne pensa? «Io sono più dell’idea che non bisogna aspettare che le cose accadano. Nel pieno rispetto delle scelte del governo, penso che sia necessario accompagnarle con ulteriori elementi di accelerazione sul versante della crescita, che resta l’obiettivo fondamentale dell’Italia a breve e medio termine. È scontato ad esempio che sarà difficile nei prossimi mesi assistere ad una crescita fortissima degli investimenti pubblici,che pure restano strategici. E lo stesso vale per l’occupazione: inutile sperare che il pubblico, tra tagli agli sprechi e spending review, possa garantire sbocchi consistenti ai giovani del Sud. Dunque bisogna sostenere gli investimenti privati: bene il credito d’imposta ma da solo non basta a ridurre il deficit di competitività di cui il Paese soffre». E allora cos’altro occorrerebbe? «Pensi a cosa vuol dire la differenza di produttività tra noi e la Germania: noi siamo saliti a 132,i tedeschi a 100 su un indice base pari a 100. Certo, se avessimo fatto la riforma del lavoro dieci anni fa le cose oggi sarebbero diverse.Ma in economia e in politica non c’è mai contemporaneità tra causa ed effetto: in Germania i risultati di oggi sono stati costruiti con la riforma Schroeder di dieci anni fa. Ecco perché elevare i livelli di produttività vuol dire metterci al passo con i grandi player europei». Già,ma come? «La proposta potrebbe essere quella di defiscalizzare e decontribuire totalmente i premi di produzione conseguenti ai contratti di secondo livello aziendale: si potrebbe partire proprio dal Mezzogiorno. Parliamo di nodo fiscale, non di regole, perché se domani i premi di produzione verranno detassati e decontribuiti completamente, garantendo ai lavoratori tutto il premio, avremo fatto un enorme passo in avanti sia in termini di aumento del salario che di spinta ai consumi interni. Ovvero, due pilastri per favorire la crescita del Paese». Immagino che non tutti siano d’accordo, visto il recente passato: i sindacati ad esempio… «Che esista una certa timidezza della parte sindacale, che teme di vedere smontato il contratto nazionale, è noto.Ma si tratta di una paura infondata: le regole e i princìpi devono essere mantenuti e garantiti ma allo stesso tempo bisogna sforzarci tutti di trovare una convenienza per far diventare le relazioni industriali un fattore di competitività per il Paese. Facciamo partire la defiscalizzazione dal Sud utilizzando una parte dei fondi strutturali per questa sperimentazione. Non è un tema semplice anche per noi imprese: all’interno di Confindustriail dibattito è aperto e ci sono specifiche tipologie contrattuali da tenere presente, penso ad esempio a Federmeccanica che rappresenta un settore ad alta intensità del costo del lavoro. Ma io insisto: con la defiscalizzazione si risponderebbe concretamente ai 4 deficit di competitività del Paese». Ovvero? «Il global tax rate,che almeno in parte potrebbe già essere risolto con il credito d’imposta per gli investimenti; la produttività; lo spread che comunque crea differenze rispetto a Paesi come la Germania e che al contrario potrebbe essere eliminato garantendo un uso diverso del Fondo di garanzia per le imprese: non solo cioè per le aziende in crisi; e infine le infrastrutture e gli investimenti pubblici».