Beni culturali: saper spendere per far spendere

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Cosa distingue una normale giornata d’esercizio dei nostri musei, da una giornata festiva  degna di nota, e di afflusso speciale di turisti ed amatori? Le ipotesi possono essere le piu’ fantasiose, erudite, scontate oppure originali, ma la risposta, a Napoli in particolare, è di raggelante semplicità: le giornate di festa sono scandite dalla clamorosa chiusura al pubblico di alcuni beni culturali e dalla strombazzatissima quanto inusitata gratuita  apertura di altri ( pochissimi, in verità).  Si assiste così all’indecorosa fila per vedere il quadro di Antonello da Messina esposto temporaneamente a Via Toledo, con un personale ansiogeno che permette solo una brevissima occhiata , quasi un “31 salvatutti”, subito incalzata dall’incitamento verso l’uscita per permettere a nuovi visitatori di poter dire “c’ero anch’io”.  Ci mancava solo che chiedessero soldi per quello scempio! Non certo per il quadro, bello come il sole, dove l’emozionante minuzia fiamminga si traduce in realismo psicologico, quanto per il modo con cui l’opera è stata offerta al pubblico. Qualcuno potrà obbiettare che la Gioconda a Parigi non ha alcuna particolare messa in scena. Cio’ è vero se ci si aspetta la consueta disneyana rappresentazione cui ci stiamo abituando, confondendo l’interpretazione con la rappresentazione teatrale, ma se si osserva la Gioconda si potrà capire che quella messa in esposizione quasi sacralizzata serve ad enfatizzare la forza evocativa del ritratto. Sarebbe bastato ricreare in una delle sale del palazzo un momento di forte evocazione emotiva che avrebbe giustificato il prezzo di un biglietto per la visione. Invece a Napoli è sempre cosi’: le cose meravigliose che potrebbero essere offerte sul vassoio d’argento sono gettate in pasto in una mangiatoia a volte anche un po’ sporca. E cosa invece si esalta ? Qualche trovata celebrativa della mediocrità culturale di chi l’ha inventata.

 In questa città si rullano i tamburi per tutto quello che più o meno avviene nei giorni di festa, si ululano luttuose giaculatorie per le occasioni perdute ma non si lavora mai per costruire qualcosa di veramente serio, godibile, ed economicamente redditizio. Cosa voglio dire? Molti miei concittadini, ma non sbaglierei se allargassi il campo ai miei connazionali, sono ormai ammaestrati ad anomali concetti contrabbandati per cultura, da chi difficilmente ha avuto un vero contatto con la stessa, e che invece spudoratamente della cultura vuole costruire e propagandare un idea becera. Si fanno trasmissioni, cicli d’incontri e di lezioni per continuare a reiterare analisi sulla cultura, sui musei, ci si lagna del mancato afflusso di gente in questa o quella struttura o ci si straccia le vesti per la chiusura o la perdita, ad esempio, di una parte della Città della Scienza. Perdita? Ne siamo sicuri? Chiunque abbia un po’ di onestà intellettuale e sia stato, anche negli anni d’oro, alla Città della Scienza puo’ capire che si trattava del nulla, infiocchettato però  e glitterato. C’era, a sentir dire i soloni, il concentrato dei ritrovati scientifici che ogni visitatore, grande o piccolo, avrebbe potuto sperimentare ed osservare dal punto di vista piu’ consono alla propria età e cultura. Io, personalmente, anche insieme a bambini di età varia non ho potuto che osservare macchinari un po’ rotti, un abbondanza di personale spropositata  rispetto agli spazi e inadeguata rispetto alle richieste ( Come funziona? – Bimbo oggi non funziona, devi tornare tra qualche  giorno-) e…nient’altro. Non una cosa bella da vedersi, che emozionasse, non un opera d’artista ( e pure tra gli artisti qualcuno scienziato c’è stato)…Ma era un museo della scienza- dirà qualche strenuo difensore del nulla. La domanda che pongo è: c’era qualcosa di irrintracciabile su libri, internet o a scuola? il gotha del radicalchic napoletano, che mandava i propri figli a respirare l’aria naturalradicale del centro , piange e si dispera perché questo ecomostro dell’assistenzialismo sociale venga eretto nuovamente e per giunta sulle rovine di quello bruciato. Pochi pero’ sanno che la Città della Scienza fu edificata sulla costa di Bagnoli, dove non si sarebbe potuta impiantare neanche una canadese ( una tenda , intendo, intendete?) grazie ad un accordo di programma, che andava in deroga al PRG, sottoscritto nel1996 fra Ministero del Bilancio, Regione Campania, Provincia di Napoli e Comune di Napoli e la Fondazione IDIS. La costa in verità dovrebbe essere lasciata libera. Cio’ che pero’ impensierisce di più è che la preoccupazione di “coloro che decidono” sia rivolta alla Città della Scienza e non alla ricerca del modo per portare la gente, ed in particolare i giovani, in musei come Capodimonte o San Martino, a scoprire tesori dell’arte e della cultura come il Donatello in Sant’Angelo a Nilo, o l’opera di Pietro Cavallini o della sua scuola, (che pure è un esempio molto significativo dell’arte del 300 a Napoli) che si trova in quella chiesa di Santa Maria di  Donnaregina Vecchia cosi’ vicina al Madre e cosi’ poco visitata.

E cosi’ invece di mettere a frutto il tesoro che abbiamo, e di impiegare molta piu’ gente di quanta ne abbia mai assorbito la Città della Scienza, si continuano a buttare soldi e finanziamenti per un opera che rappresenta il nulla culturale assoluto.  Il governo centrale invece di sopprimere le imprese fallimentari come Città della Scienza impiega gli scarni fondi per mantenere in modo assistenziale un attività a sua volta assistenziale e non produttiva. Capisco perfettamente quando economisti di calibro sostengono che Napoli non potrà vivere di turismo e cultura, come ormai recita chiunque di qualsiasi età e stato. In queste condizioni certamente no. Potrebbe succedere invece, se si mettesse a fuoco cosa fare per poter avviare l’agognato processo. La prima cosa? Unire il ministero del tesoro con quello dei beni culturali e fare in modo che ogni città abbia l’assessorato al tesoro dei beni culturali. Libero, senza condizionamenti e molto, molto onesto e laico.