Bianco, rosso e… giallo, Andrea Jelardi racconta trent’anni di cold case italiani

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di Fiorella Franchini

“C’è sempre qualche ragione per l’uccisione di un uomo. È invece impossibile giustificare che viva”, ha scritto Albert Camus nel 1956. Sembra che l’assassinio sia l’occupazione più seria anche degli italiani e la cronaca nera una materia quotidiana. Letteratura, cinematografia, informazione traggono ispirazione dai fatti reali dando luogo a una spettacolarizzazione del male che alimenta e si nutre di una morbosità diffusa dietro la quale s’intravede il lato più oscuro della psiche umana. Non si tratterebbe solo di paura della morte che attraverso i fatti di cronaca nera sarebbe così esorcizzata, ma anche di “desideri necrofili inconfessabili e istinti di morte che attraverso la cronaca nera sono vissuti”. Secondo Michele Serra, c’è un interesse cresciuto in maniera esponenziale da parte del sistema mediatico: “Ogni frammento di orrore viene ingigantito, ogni urlo di dolore amplificato.” Raccontare la violenza, tuttavia, non è solo un espediente letterario, informazione spettacolo, spesso è giornalismo d’inchiesta, valido aiuto per gli inquirenti, talvolta è indagine scientifica, come il volume di Andrea Jelardi, Bianco, rosso&…giallo – in una seconda edizione aggiornata della Kairòs, che ripercorre vicende note e meno note della cronaca italiana dal 1988 al 2018. “Un saggio nato quasi per caso, – rivela l’autore, – una scelta legata alla mia abitudine di conservare vecchi giornali poiché, rileggendone alcuni, ho ritrovato molti casi di cronaca nera ormai dimenticati o che non hanno avuto il “privilegio” di essere approfonditi, né dal punto di vista giornalistico, né tantomeno da quello giudiziario. Inoltre, specialmente per gli episodi più datati, questo saggio restituisce uno spaccato sociale dell’Italia degli ultimi decenni”.
Oltre ottanta storie che descrivono una realtà italiana tragica che, a parte i casi di delinquenza comune e organizzata, rivela un paese in cui prevalgono rapporti interpersonali fortemente conflittuali, dominati da vicende sentimentali drammatiche, gelosie, rancori, problemi economici e sociali devastanti. Una ricerca che si presta a diversi registri di lettura, quello sociologico, quello criminologico, quello statistico, mostrando i cambiamenti della società anche attraverso la differenziazione dei crimini, dei moventi, dei luoghi, dei contesti sociali in cui avvengono. “Al di là delle simbologie, – spiega Jelardi – nel titolo c’è un riferimento ai colori della nostra bandiera, perché sono tutte storie italiane e che per molti versi racchiudono gli elementi caratterizzanti del nostro popolo: l’amore, la gelosia, il senso della famiglia, la passionalità…nonché qualche aspetto deteriore come la brama di successo e di denaro, la necessità di apparire, e soprattutto le convenzioni sociali che molto spesso, tra le mura domestiche, nascondono un dramma o sono causa di esso.”
Tutto il mondo dell’informazione ha una grande responsabilità, sia quando punta i riflettori, sia quando distoglie l’attenzione mediatica perché è in grado di condizionare comportamenti e risoluzione dei casi. E’ ormai evidente quanto una comunicazione errata possa influenzare le menti delle persone più deboli, minori e personalità disturbate, che di fronte al cosiddetto bombardamento massmediatico potrebbero essere suggestionate negativamente tanto da essere indotte all’emulazione. Nella rabbia cieca, nella premeditazione intelligente si cela quasi un furore eroico, quel coraggio malvagio che nasce da un bisogno diffuso di protagonismo, frutto di esistenze caratterizzate dal vuoto esistenziale, dalla noia, dalla perdita dei valori di riferimento. Più che con le vittime una larga parte del pubblico s’identifica con il male che gli autori dei crimini incarnano. “C’è una grande striscia di violenza in ogni essere umano. – scrive il regista statunitense Sam Peckinpah – Se non viene incanalata e compresa, sfocerà in guerra o in follia”. L’analisi di Andrea Jelardi ricorda che non basta catturare i criminali, occorre convogliarla questa energia distruttiva, trasformarla, colmare le crepe in cui possono infiltrarsi gli impulsi aggressivi.
Eppure, gli stessi media e i Social, sono stati risolutivi per tante vicende: “Raccontarle oggi a molti anni di distanza, anche alla luce di nuove tecnologie utili alle indagini, – insiste l’autore – può contribuire a chiarire misteri insoluti e riscattare coloro che sono state vittime due volte. Dell’assassino prima e dell’indifferenza poi.”
Oltre trent’anni di delitti narrati con la sensibilità dello scrittore, piuttosto che con il distacco cronachistico, un garbo che mette da parte il protagonismo criminale e stende un velo di pietas sulle vittime. Vite, solitamente normali, scandite da occupazioni quotidiane, sconvolte dalla follia, dall’egoismo, dalla crudeltà. Un dolore così irrazionale da diventare troppo spesso muto, invisibile, indifeso, storie per le quali l’ingiustizia ha un sapore ancora più amaro.