Big Data, la magmatica evoluzione

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La comparsa dei “Big Data” nel discorso pubblico ha posto la privacy come questione di primaria importanza. Tra giuristi ed ingegneri informatici la definizione di big data che letteralmente significa “grandi” o “tanti dati” non è univoca. Tale concetto sembrerebbe riferirsi più al trattamento che alla tipologia e quantità degli stessi. Difatti, per parlare di big data non basta solo avere una grande quantità di dati/informazioni, ma sono necessari anche gli strumenti per poterli gestire e analizzare. E’ con Google, Facebook ed Amazon che è emerso questo nuovo concetto, quando circa dieci anni fa, è iniziata l’irresistibile ascesa di queste big companies con una straordinaria esplosione di dati che ha rivoluzionato l’intero settore.
I big data consistono in generalità, contatti, commenti, like, numeri di telefono, indirizzi, informazioni personali, spostamenti, itinerari, fotografie, video, documenti, numeri di carte di credito, acquisti, ricerche e tante altre attività le quali hanno continuato ad essere registrate in tempo reale, analizzate ed aggregate. Ma la rilevanza dei big data per l’economia e la società non riguarda soltanto il tema della privacy. Si tratta di input fondamentali per la creazione di valore nella frontiera di quel capitalismo digitale che pone dinanzi scenari ed interrogativi complessi. Big Data e privacy rappresentano un argomento in magmatica evoluzione ed il legislatore fa fatica a stare al passo con l’evolversi delle tecnologie. L’uso in rapida crescita dei Big Data da parte delle aziende private è diventato fattore strategico decisivo nella produzione, nella competitività sul mercato e nell’innovazione e digitalizzazione delle stesse. Sono gli stessi consumatori ad alimentare i processi dei Big Data consegnando non solo le proprie generalità ma anche gusti, interessi, opinioni, consumi, preferenze riguardo ai più disparati settori. Si pone pertanto il problema di una “governance” di tali dati che sia in grado di analizzare le interconnesioni tra protezione e mercato del dato e gli effetti di un’eventuale regolazione strutturata su più ambiti. Per rispondere ai fondati timori suscitati dall’erosione che la tecnologia sta operando sulla riservatezza, i governi europei hanno provato a dettare rigide normative in tema di privacy.
Affrontare il fenomeno dei Big Data dal punto di vista giuridico significa approfondire le problematiche relative al trattamento dei dati personali, sempre più preziosi e sempre più a rischio. Purtuttavia il rapporto tra Big Data e privacy non è semplice e il GDPR (General Data Protection Regulation), entrato in vigore il 25 maggio, ha provato a dare delle risposte modificando lo scenario a livello europeo. Come approfondire dunque il complicato rapporto tra Big Data e Privacy? Oggi è sempre più complesso controbilanciare i valori delle tecnologie di Big Data e il valore della privacy. Margo Seltzer, docente di Scienze informatiche ad Harvard, ha sostenuto che “la privacy così come l’abbiamo conosciuta in passato non è più possibile ed il modo convenzionale che abbiamo di pensare alla privacy è morto”. La raccolta dei Big Data pone dunque evidenti problemi di privacy ai quali il legislatore ha cercato di porre rimedio. Per molte aziende, il GDPR viene vissuto oggi come un peso. La grande sfida è comprendere appieno l’opportunità, sia per le aziende sia per i cittadini, di imparare a trattare i dati, ma è d’obbligo rispettare la volontà esplicita del singolo consumatore. La vera battaglia si giocherà nel pensare una legislazione chiara per le iniziative commerciali che le sfruttano e nell’uniformare le varie legislazioni nazionali comunitarie. Il tema dei big data è questione che afferisce al tema del mercato e della concorrenza, dal momento che i dati sono input determinanti per la creazione di valore nel “capitalismo digitale”. Il complesso dei big data, purtuttavia, è strettamente connesso non solo alla privacy ma connaturato allo stesso concetto di democrazia. Motivo per cui sarebbe opportuno che emergesse una nuova cultura in materia, passando da un approccio disinvolto nella concessione di dati ed informazioni ad una cultura della riservatezza, perché il primo garante della privacy è l’individuo stesso, nella consapevolezza di comunicare ciò che siamo e ciò che non vogliamo.