Biosensori guardiani dell’aria Ora c’è il muschio biotech

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A cura di Cristian Fuschetto

La tecnologia è nulla al cospetto della natura. Una zolletta di muschio, tanto per fare un esempio, può rilevare gli inquinanti presenti nell’aria conmolta più accuratezza di qualsiasi rete di monitoraggio oggi in circolazione. Si dirà: e allora perché in giro per le strade al posto delle antiestetiche centraline non ci sono piccoli appezzamenti di verde? Per una semplice ragione: la natura non segue “protocolli standard”, le spore di muschio non sono tutte uguali e quindi non è possibile avere dei riferimenti oggettivi per valutare il livello di inquinamento dell’aria. Il muschio biotech sviluppato da Moss Clone supera esattamente questo problema creando in vitro un biosensore perfettamente omogeneo. Guidato dall’università di Friburgo in partnership con enti di ricerca e imprese di Spagna, Irlanda e Francia, Moss Clone è un progetto europeo di ecoinnovazione in cui ha svolto un ruolo fondamentale anche Napoli grazie al lavoro di un team di ricercatori della Federico II e dell’Amra, il Centro di Competenza regionale nel settore dell’Analisi e Monitoraggio del Rischio Ambientale. I risultati del progetto, avviato tre anni fa e finanziato con circa 3,5 milioni di euro, verranno presentati da lunedì 9 a mercoledì 11 marzo presso il Centro congressi della Federico II in via Partenope con la partecipazione di tutti i team di ricerca coinvolti e la possibilità per le piccole e medie imprese specializzate nel biomonitoraggio di partecipare ai lavori. Biosensori creati in provetta I muschi non hanno radici e proprio per questo si nutrono delle deposizioni atmosferiche e, cosa particolarmente interessante, non hanno barriere per prevenire questo assorbimento. “Sono delle autentiche spugne biologiche molto sensibili all’inquinamento”, spiega Simonetta Giordano, docente di Biologia vegetale alla Federico II e responsabile dell’unità di ricerca per Amra. Utilizzati da più di 40 anni in ricerche ambientali sia come specie native sia come trapianti, negli ultimi tempi grazie alla tecnica di trapianto nota come “moss bag” i muschi sono stati già sperimentati come strumenti per il monitoraggio di inquinanti, tuttavia questo metodo non viene utilizzato di routine dalle agenzie di monitoraggio istituzionali poiché privo di standard adeguati. “Abbiamo messo a punto uno strumento biotecnologico innovativo – continua la ricercatrice – basato sull’uso di un clone di muschio devitalizzato come biosensore della contaminazione. In pratica, siccome in natura i campioni di muschio non sono omogenei, abbiamo prima selezionato la tipologia più adatta a raccogliere gli inquinanti atmosferici e poi ne abbiamo derivato un clone. In questo modo produciamo delle piante dal tessuto estremamente standardizzato, di cui conosciamo composizione chimica e caratterizzazione morfologica”. Duplice ecosostenibilità Insomma, si creano in laboratorio delle piante perfette per monitorare l’ambiente. Una soluzione doppiamente ecosostenibile: sia perché le piante di muschio sono meno invasive delle centraline tradizionali, sia perché la produzione in laboratorio evita raccolte massive del vegetale dai boschi. La novità è che si possono clonare grandi quantità di muschio in condizioni controllate, verificando che le piante assorbano le stesse quantità di inquinanti nelle stesse condizioni, il che non è possibili con i campioni naturali. Finora gli i confronti con le centraline fisico-chimiche hanno dato un buon riscontro. Per Amra hanno partecipato al progetto hanno partecipato al progetto Paola Adamo e Valeria Spagnuolo della Federico II, Roberto Bargagli dell’Università di Siena e Mauro Tretiach dell’università di Trieste. Tra i giovani ricercatori Fiore Capozzi, Anna Di Palma, David Crespo Pardo. Le future “Moss Clone moss-bags” consentiranno a livello europeo di valutare l’inquinamento atmosferico con elevata riproducibilità e bassi costi.