Brambilla: “Reddito cittadinanza bypassa competenze regionali, conflitto art.117 Costituzione”

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Roma, 4 feb. (Labitalia) – La norma sul reddito di cittadinanza “opera significative, e non condivisibili, innovazioni”. Lo scrive Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi Itinerari previdenziali, nell’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate dedicato al reddito di cittadinanza. Il decreto “amplia la platea degli attori preposti a dirigere gli interventi in ambito nazionale, con due piattaforme distinte finalizzate a monitorare gli interventi di politica del lavoro e di inclusione, ivi compresi i comportamenti degli operatori dei servizi e l’assunzione dei cosiddetti navigator da parte di Anpal nazionale: prassi che, bypassando le competenze regionali sulla materia, prefigurano altrettanti motivi di conflitto interpretativo sull’art. 117 della Costituzione”, aggiunge Brambilla.

Le criticità sono anche, per Brambilla, lo “sdoppiamento tra le attività di selezione e approvazione delle domande ed erogazione delle sanzioni, che rimangono in capo all’Inps, e le attività di raccolta delle domande e di erogazione dei benefici che viene trasferita alle Poste Italiane (mentre viene confermata la possibilità di inoltrare le domande tramite piattaforma telematica)”. “Un’ulteriore diversificazione tra le modalità di erogazione delle misure di politica attiva del lavoro e quelle destinate all’inclusione sociale (con due distinte sottoscrizioni: una per il ‘patto del lavoro’ e un’altra per il ‘patto di inclusione'”, dice.

Inoltre sul reddito di cittadinanza, sarà difficile rispettare la data di erogazione indicata dal governo (fine aprile 2019). Tutti gli interventi previsti dal decreto per il reddito di cittadinanza, scrive Alberto Brambilla, nell’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate, “richiederanno inevitabilmente, un rifacimento delle procedure e dei software, il rilascio dei pareri dell’Autorità garante della privacy, circolari interpretative da elaborare con il concorso di più amministrazioni, atti che richiedono articolate intese nell’ambito della conferenza Stato-Regioni, coinvolgimento degli enti locali per concordare i nuovi indirizzi e le modalità di intervento nei territori, bandi e concorsi per strutturare le piattaforme informatiche e per assumere il personale”. “Adempimenti talmente complessi che escludono qualsiasi possibilità di avviare organicamente il programma Rdc nelle scadenze proclamate dal governo”, precisa.

L’altra criticità è “la scelta di differenziare gli importi per quelle che vengono definite con il titolo di pensioni di cittadinanza, che tali non sono perché si tratta di mere e temporanee integrazioni al reddito familiare, determina, tra l’altro, un’incomprensibile discriminazione di trattamento tra nuclei familiari, soprattutto se si considera l’ulteriore differenza di entità rovesciata per il contributo destinato ai residenti in case d’affitto, 150 euro per gli ultra 67enni contro 280 euro per i beneficiari in età di lavoro”, rimarca Brambilla.

Lo studio (l’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate relativo al reddito di cittadinanza, coordinato anche da Natale Forlani, Gianni Geroldi e Claudio Negro) evidenzia che, secondo la relazione tecnica, “sono poco più di 1,3 milioni i nuclei familiari potenzialmente beneficiari del Rdc, equivalenti a poco meno di 5 milioni di persone, con un notevole incremento della platea rispetto ai 2,8 milioni di persone che erano state stimate con la messa a regime del Rei”. Si tratta di famiglie con un reddito Isee inferiore ai 9.360 euro. “Agli aventi diritto verrà erogato un sussidio destinato ad integrare il reddito fino a 6.000 euro annui nel caso di una persona singola (incrementati a 7.560 euro per i nuclei familiari composti esclusivamente da over 67), che possono aumentare in base ai carichi familiari, e beneficiare di un ulteriore importo massimo di 3.360 euro per i nuclei residenti in case in affitto”, spiega Brambilla.

Infine, gli immigrati. Nell’analisi della potenziale platea dei beneficiari del reddito di cittadinanza, “un aspetto singolare, e colpevolmente trascurato” “è l’incidenza degli immigrati in condizioni di povertà assoluta (circa 1,6 milioni di persone secondo l’Istat), con un peso rilevantissimo sul totale dei potenziali percettori nelle aree del Nord Italia (oltre il 40% dei potenziali beneficiari)”, rileva l’economista. “Gli immigrati -scrive Brambilla- sono ricompresi nella stima generale ma il decreto cerca in modo surrettizio, e a forte rischio di illegittimità, di ridurne l’incidenza introducendo il vincolo della residenza in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, per tutti i richiedenti”. Una trascuratezza che “potrebbe avere conseguenze finanziarie non marginali per la gestione dell’intervento -avverte Brambilla- poiché, qualora la magistratura sulla base di sentenze già consolidate della Corte Costituzionale provvedesse ad estendere i benefici a tutti gli immigrati regolarmente residenti, le risorse disponibili stimate in sede di decretazione potrebbero rivelarsi insufficienti, con la conseguente necessità di ridefinire la platea dei percettori o l’ammontare medio dei benefici”.