Brexit, Angelo Baglioni: “Italiani non devono temerla, inglesi sì”

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Milano, 30 gen. (Labitalia) – “Per l’economia italiana non ci sono particolari pericoli derivanti dalla Brexit, mentre direi che ci sono per il Regno Unito. Dunque, non devono essere gli italiani a temere la Brexit, ma gli inglesi”. Lo dice, ad Adnkronos/Labitalia, Angelo Baglioni, professore ordinario di Economia Politica presso l’Università Cattolica di Milano. “Possono esserci -ipotizza- effetti molto contenuti come una lieve riduzione degli scambi commerciali o nei servizi finanziari, ma credo potranno essere davvero molto limitati”. Baglioni ricorda che “è prevista una fase di transizione del distacco del Regno Unito dall’Ue e questo per dare continuità anche alla fornitura di servizi da parte degli intermediari finanziari che hanno la sede a Londra o in altre città britanniche”.

E’ prevedibile che questa fase duri “un anno, un anno e mezzo circa”, ipotizza Baglioni, che poi precisa: “E dopo bisognerà vedere se e come le banche inglesi potranno offrire servizi all’Europa”. “Parlando di merci, invece, in questo anno di transizione -spiega l’economista- si dovrà affrontare tutta la questione dei dazi, che non si risolverà solo nello stabilire le tariffe doganali, ma anche nello stabilire con esattezza le modalità di controllo alla frontiera. E, fra l’altro, essendo, il Regno Unito un’isola, la cosa presenta anche delle difficoltà logistiche non indifferenti”.

Per quanto riguarda l’Irlanda e il confine interno, per Baglioni, “è probabile che la soluzione temporanea trovata con l’accordo che scatta da sabato (di fatto un confine aperto tra Irlanda del Nord e Irlanda, con la questione dei dazi da rivedere poi, ndr) duri per parecchi, parecchi anni”. Si tratterebbe cioè, dice, “di un compromesso destinato a durare”. Quello che invece devono temere i cittadini britannici sono, innanzitutto “le delocalizzazioni”, osserva l’economista aggiungendo: “Già quando ancora la Brexit non era certa, alcune grandi banche, alcune grandi multinazionali o società di servizi hanno cominciato a traslocare altrove e spostare le loro sedi”. Un effetto che, dice, “porterà via dall’Ue diverse attività economiche”. Infine, last but non least, “ci sono i 36 miliardi che Boris Johnson si è impegnato a pagare all’Ue: una tassa di uscita che peserà sulle finanze pubbliche”, conclude Baglioni.

Tornando in Italia, Baglioni commenta i dati Istat sull’occupazione e dice: “Oggi sono arrivati brutti dati “.”Più che al termine degli effetti propulsivi di leggi come il dl Dignità -osserva- metterei in relazione il calo dell’occupazione alla fase congiunturale: l’Italia, infatti, continua a scontare un’economia molto debole”. Baglioni, che è anche membro del Banking Stakeholder Group della European Banking Authority e che dal 1988 al 1997 è stato economista presso l’Ufficio studi della Banca Commerciale Italiana (ora Intesa Sanpaolo), ricorda come questa debolezza sia stata più volte sottolineata dal Fmi: “Le statistiche del Fondo monetario internazionale per il 2019 -dice- parlavano di una crescita dello 0,1-0,2% per il 2019 e quelle del 2020 di una crescita intorno allo 0,5%. Insomma molto, molto bassa”.

“E’ vero che i dati mensili sull’occupazione sono volatili, occorre guardare nel medio lungo periodo, ma innegabilmente -spiega l’economista- cresciamo poco, come del resto gran parte dei Paesi europei. Anche la Germania è in discesa e anche questo trascina l’Italia verso il basso”. Un impulso a livello europeo, spiega il professore, “può venire dal New Green Deal, e dalle risorse messe in campo dall’Ue”. Anche se, precisa Baglioni, “l’obiettivo del Piano è di spingere verso la sostenibilità della crescita, più che verso la crescita di sé e per sé”. “Ma ci saranno nuovi investimenti e il Piano comprende tante voci”, sottolinea.

Puntando il faro su casa nostra, Baglioni spiega che “con la Legge di Bilancio il governo ha intrapreso la giusta direzione per dare una spinta alla crescita, con misure come quella del taglio al cuneo fiscale e degli incentivi all’innovazione”. Purtroppo, annota, “si tratta di misure limitate perché la quantità delle risorse messe a disposizione è esigua”. “Ma credo -aggiunge il professore- non si potesse fare altrimenti: abbiamo dei vincoli stringenti sulla finanza pubblica e si doveva schivare l’attivazione della clausola di salvaguardia sull’Iva che da sola valeva 23 miliardi. Il governo, insomma, poteva fare ben poco”, conclude.