La brucellosi è una malattia animale insidiosa presente in tutto il mondo, ma prevalentemente in alcune zone, tra cui il Mediterraneo. In Italia l’infezione, che colpisce molte specie animali (bovini, ovini, suini…), è ormai limitata prevalentemente in alcune province campane (in particolare in alcuni allevamenti di bufali, dove colpisce le bufale femmine che allattano dopo il parto) ed è proprio qui che la sua eradicazione appare più complessa.
In conformità alle norme comunitarie vigenti negli ultimi anni, la Regione Campania ha disposto l’abbattimento di centinaia di migliaia di capi, per fronteggiare l’epidemia.
Il Denaro ne ha parlato con il professor Agostino Macrì, ex direttore del Dipartimento di Sanità Alimentare dell’Istituto Superiore di Sanità e consulente per la sicurezza alimentare dell’Unione Nazionale Consumatori.
Professore, in un suo recente articolo pubblicato sulla rivista specializzata L’Osservatorio, lei fa una interessante disamina della brucellosi. Che cos’è questa malattia e cosa comporta?
La brucellosi è una malattia da sempre molto temuta dagli allevatori e dalle autorità sanitarie. Si tratta infatti di una zoonosi, cioè di una malattia trasmissibile all’uomo, ma ormai le tecnologie impiegate ne hanno quasi azzerato l’incidenza nell’uomo. La comparsa della malattia negli animali compromette il loro benessere e alle volte provoca anche la loro morte. Tale situazione comporta importanti danni economici. Infatti, oltre al pericolo degli aborti la malattia può decorrere con sintomatologie apparentemente non gravi, ma che minano la salute con la conseguenza di minori rese zootecniche.
A differenza della stragrande maggioranza delle regioni italiane ormai indenni da tale patologia, in alcune province campane l’eradicazione della malattia va a rilento con il rischio di danneggiare anche l’immagine della famosa mozzarella. Quali sono quindi le misure che possono essere messe in campo?
E’ solo la piena attuazione dei piani di profilassi basati sull’abbattimento dei capi infetti che ha consentito di rendere indenne la quasi totalità del territorio nazionale. Sono rimaste alcune “sacche” principalmente localizzate nella regione Campania, dove comunque l’evoluzione della patologia non è uniforme nelle diverse province.
Uno dei temi più controversi è stato il ricorso alla vaccinazione voluto soprattutto da alcuni allevatori della provincia di Caserta che non accettano l’abbattimento degli animali infetti, mentre le autorità sanitarie comunitarie, nazionali e regionali, così come altre organizzazioni agricole nazionali e consorzi, sono contrari alla vaccinazione perché porterebbe al persistere della malattia che così facendo non verrebbe mai eradicata. Qual è la via da percorrere a suo avviso?
Se si vuole eradicare questa patologia una volta per tutte esiste una sola via: l’abbattimento dei capi infetti. La vaccinazione, soprattutto se praticata negli adulti, non farebbe altro che far persistere la patologia aggravando così il bilancio pubblico che dovrebbe continuare a risarcire animali che resterebbero poi comunque da abbattere, in una sorta di spirale senza fine.
Che rischierebbe di avere anche seri effetti dal punto di vista economico…
Certo. Così facendo si rischia non solo di perpetuare la presenza della brucellosi negli anni futuri, ma anche di contravvenire alle norme di base della UE in materia di Sanità Pubblica Veterinaria. Tale aperta violazione delle norme comunitarie potrebbe anche compromettere i sostegni economici all’intero settore e anche limitare la commercializzazione di alimenti preziosi come la mozzarella.
Ma quali misure sono predisposte per gli allevatori?
Non bisogna ignorare che gli allevatori colpiti dagli abbattimenti vengono indennizzati e che le carni degli animali abbattuti, private degli organi potenzialmente pericolosi, possono essere utilizzate in sicurezza ai fini alimentari umani. Il danno subito dall’allevatore con l’abbattimento è quindi più che compensato da parte delle autorità sanitarie secondo valori fissati per legge da cui viene detratto l’importo ricavato dalla vendita della bufala al macello.
È vero che la vaccinazione potrebbe compromettere anche le esportazioni di mozzarella di bufala visti gli stringenti requisiti esistenti sui certificati sanitari necessari per l’export?
Sì, certamente: non bisogna sottovalutare il fatto che molti certificati sanitari per l’export della mozzarella verso mercati importanti prevedono requisiti incompatibili con la vaccinazione, per cui prevederla vorrebbe dire bloccare l’esportazione di tale prodotto. Per questo motivo molte associazioni di categoria e consorzi si sono opposte alla reintroduzione della profilassi vaccinale.
La normativa comunitaria di riferimento prevede che pur essendo preferita la macellazione nella stessa provincia di allevamento, possa essere autorizzata la macellazione fuori provincia nel rispetto di determinate precauzioni, nel caso in cui ci siano dei vantaggi di mercato per gli allevatori (nel caso in cui cioè macelli fuori provincia paghino prezzi più alti agli allevatori, con tempi più brevi etc).
Sì, la normativa lo prevede fissando allo stesso tempo precise condizioni che consentono di evitare qualsiasi rischio di diffusione della patologia. Una volta che la sicurezza è garantita dal rispetto di queste regole, dove macellare i capi lo devono decidere liberamente gli allevatori che si orienteranno verso quei macelli che valorizzano meglio i capi da abbattere.