Calatrava – un genio, per una buona esposizione però servono le regole

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Dal 6 dicembre al 10 maggio Capodimonte ha un nuovo ospite. Sorpresa. Sarà possibile, per qualche mese, bearsi delle opere che l’architetto Calatrava ha realizzato nel suo percorso professionale. Opere spettacolari, dovunque nel mondo ed anche tutte le altre manifestazioni della sua artistica e poliedrica personalità. “Uei! Calatrava: quello del ponte!”. sono le testuali parole di un adolescente visitatore della mostra. Ebbene si, Calatrava. Quello del ponte a Venezia, del Ponte L’Assut d’Or, la terza grande opera progettata da Santiago Calatrava per la propria città natale, il progettista del nuovo World Trade Center Transportation Hub, l’Oculus di New York inaugurato a Ground Zero nel 2016, diventato con le sue “ali di uccello” il simbolo della rinascita della città dopo l’attentato alle Torri Gemelle. Non una bazzecola, direbbero i fiorentini. Come un architetto dei secoli che furono lo spagnolo si esprime anche attraverso la scultura e la pittura, e oggi, a Capodimonte, c’è la rappresentazione di tutta la varietà della sua vena artistica. Il Cellaio offre al pubblico 50 opere in ceramica, alcune delle quali riprendono le figure rosse su fondo nero della tradizione ellenica e mediterranea. La capacità di Calatrava di rapportarsi all’antica Grecia sorprende il visitatore, che riconosce i colori e le forme scultoree, ma che può avere difficoltà a comprendere lo sforzo della ricerca pittorica dell’architetto artista. Le sculture, le pitture, le ceramiche sono, per sua dichiarazione, il nutrimento incessante per la sua architettura. Una bomba di emozione che non può non suscitare nel visitatore il desiderio di verificare, se mai possibile, quanto la pittura, la ceramica e la scultura abbiamo influenzato le grandi opere d’architettura che recano il segno inconfondibile della sua griffe. Per progettare un ponte o un edificio l’architetto parte dal movimento del corpo di una donna (quella dipinta sulle ceramiche). La donna che fa un arco con la schiena per il ponte, o un passo di danza in cui il corpo si muove in modo sensuale giocando sulla torsione della spina dorsale per un palazzo. Alzi la mano il visitatore, non culturalmente strutturato, che sia stato messo in grado di cogliere queste particolarità che sono il succo della visione dell’architetto spagnolo. Di certo qualcuno ha intuito che l’aprirsi e poi richiudersi di alcuni suoi elementi architettonici (secondo piano dell’esposizione) potessero essere rintracciabili nel volo di gabbiani che c’è su alcune ceramiche esposte nel Cellaio, ma, alla cultura e all’intuizione, costui avrà dovuto unire straordinarie doti atletiche che gli abbiano consentito l’andirivieni tra un luogo ed un altro scale comprese per confrontare, collegare e godere della rivelazione. L’allestimento della mostra avrebbe dovuto prevedere che alcuni collegamenti emozionali e razionali devono essere prima di tutto fisicamente possibili e poi anche concettualmente resi noti da un esposizione che predisponga emozionalmente a tale collegamento. Al secondo piano, ma sarebbe stato meglio che tutto si svolgesse sullo stesso livello dell’edificio, foto e filmati avrebbero non solo collegato visivamente le opere alla propria idea generatrice, ma anche al luogo dove esse sono state realizzate, non necessariamente noto a tutti. Anche il titolo della mostra “Santiago Calatrava Nella luce di Napoli” può sviare il visitatore. Bisogna sollecitare la curiosità fornendo elementi che possano essere in seguito verificati. Sarebbe stato giusto riferirsi all’omaggio di Calatrava alla città di Salerno perché è in questa città che ha progettato il suo primo intervento d’autore nel Sud d’Italia : la Marina d’Arechi-Port Village. La gestione dei beni culturali e della loro esposizione non s’inventa. Non basta avere le opere di un artista di eccezionale valore, perché la loro mostra sia un successo: le opere devono essere esposte secondo i principi dell’interpretazione. Sic est.