Unione Industriali Napoli, caso Camera di Commercio: ecco le motivazioni del ricorso al Consiglio di Stato

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“La sentenza numero 4067 emessa dal Tar Campania lo scorso 11 luglio, lascia profondamente sconcertati. Il Tar Campania, infatti, ha sostanzialmente smentito quanto aveva sostenuto nell’Ordinanza cautelare numero 750 del 24 maggio 2017. In quella occasione, il Tar aveva colto in pieno il limite dell’istruttoria effettuata dalla Camera di Commercio nel procedimento di rinnovo del Consiglio Camerale, ritenendo insufficienti i controlli svolti in ordine alla reale ed effettiva differenziazione costitutiva ed organizzativa fra Aicast ed Assimpreseitalia. Gli uffici preposti alla verifica della effettiva rappresentatività delle associazioni concorrenti avevano ammesso Aicast ed Assimpreseitalia, malgrado gli iscritti coincidessero per una percentuale superiore al 95%, con evidente violazione del principio di non duplicazione, affermato dalla legge e ribadito dalle circolari del Ministero dello Sviluppo Economico”.
Lo scrivono in una nota Claii, Cna, Confartigianato, Confesercenti e Unione industriali, spiegando le ragioni del ricorso. “Nell’Ordinanza cautelare del Tar si afferma espressamente che ‘non risulta adeguatamente verificata la reale differenziazione costitutivo-organizzativa tra l’Aicast e l’Assimpreseitalia’. Pertanto non si rilevano garanzie che si tratti di due associazioni effettivamente diverse piuttosto che articolazioni della stessa organizzazione, create per eludere il divieto di duplicazione e, cosi’, aumentare artificiosamente la rappresentanza. Sorprende e preoccupa, quindi, il mutato indirizzo del collegio giudicante che, a fronte di un supplemento di istruttoria della Camera di Commercio, assolutamente insufficiente e svolto prevalentemente sul piano formale e non reale (verifica dell’organizzazione; dei servizi prestati; dell’attivita’ svolta per i propri associati), ha ritenuto legittimo l’operato del Gruppo di Lavoro costituito ad hoc dalla Camera. Avallando dunque la decisione di far valere due volte, ai fini della rappresentanza, le imprese aderenti a due “associazioni” costituenti notoriamente e, senza ombra di dubbio alcuno, una sola realta’, peraltro di dubbia rappresentativita’”.
Pertanto Unione Industriali Napoli, Claai, Confartigianato, Cna e Confesercenti “non possono che proseguire il contenzioso dinanzi al Consiglio di Stato, reiterando le ragioni espresse e impugnando, quanto prima, la sentenza n. 4607 emessa dal Tar Campania. Lo scopo primario e’ di vedere ripristinata la legalita’ sostanziale, prima ed oltre che formale, della procedura di rinnovo del Consiglio Camerale. Un obiettivo irrinunciabile, pur nella consapevolezza che il protrarsi del contenzioso determinera’ un ulteriore ritardo per il ritorno dell’Ente Camerale alla ordinaria amministrazione, e quindi alla sua piena funzionalità. E’, infatti, inaccettabile che un Ente pubblico di estrema rilevanza per l’intero sistema imprenditoriale provinciale (e non solo) qual e’ la Camera di Commercio, sia governato da chi non rappresenta effettivamente la maggioranza degli operatori economici dei diversi settori ed ha negli ultimi anni lavorato a costruire esclusivamente le condizioni formali per una scalata agli organi camerali fondata su una struttura fittizia, che non ha mai operato e non opera realmente sui territori”.
A giudizio delle associazioni “è peraltro da considerare che il Consiglio Camerale si formerebbe sulla base di dati ormai risalenti al biennio 2012-2013, dati per di piu’ viziati nella forma e sostanzialmente infondati. Era stata proprio la palese discrepanza tra profilo politico rappresentativo e consistenza numerica degli iscritti dichiarata, a indurre alcune associazioni a richiedere di accedere alla documentazione prodotta per verificare la congruita’ dell’istruttoria espletata. Ne era emersa una macroscopica sequela di irregolarita’, commesse sia da coloro che aspiravano a prendere parte alla ripartizione dei seggi nel Consiglio camerale, sia dagli uffici preposti alla verifica. Era stato, tra l’altro, disatteso un principio fondamentale: l’entita’ dell’impegno contributivo deve esprimere una reale appartenenza associativa, al fine di evitare effetti moltiplicativi sul numero delle imprese iscritte, originati dall’unico intento di incidere sul procedimento di rinnovo dei consigli camerali”.
Nella nota si evidenzia che “per evitare questo rischio sono fissati appositi criteri, volti a impedire che le quote pagate dalle imprese di un’associazione risultino inferiori oltre una certa misura alla media di quanto versato dagli iscritti a tutte le organizzazioni concorrenti del medesimo settore. Nel caso specifico, non sono stati rispettati i criteri che definiscono la media di settore, ne’ il parametro che stabilisce di quanto ci si puo’ discostare. Pur in presenza di un regolamento camerale che chiaramente indicava nel 70% il tetto minimo da osservare rispetto alla media di settore, nell’istruttoria camerale si e’ fatto riferimento al 30%, giungendo perfino a interpretare estensivamente il parametro cosi’ stravolto, ‘recuperando’ in tal modo anche le imprese che non l’avevano rispettato. Non a caso, la sentenza del Tar ha comunque annullato gli atti della Camera di Commercio, sul presupposto che vadano escluse dal conteggio ai fini della determinazione del grado di rappresentativita’ tutte le aziende associate ad Aicast e ad Assimprese che abbiano versato la quota simbolica di due euro. Cio’ impone che la Camera si ridetermini sul punto, non potendosi limitare a trasmettere alla Regione Campania gli esiti dell’istruttoria svolta, nel corso del giudizio, su ordine del Tar, senza alcuna garanzia di partecipazione per gli interessati”.