Camilleri: “Un western alla siciliana alla radice dei mali italiani”

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Roma, 22 feb. (AdnKronos) – Un giallo in costume ma anche un western alla siciliana e soprattutto un romanzo storico di estrema attualità che va alla radice di contraddizioni e mali italici, dal divario nord-sud alla corruzione, alla criminalità organizzata. È tutto questo e molto di più, ‘La mossa del cavallo’, il film tv diretto da Gianluca Maria Tavarelli e tratto dall’omonimo giallo grottesco di Andrea Camilleri ambientato all’indomani dell’Unità d’Italia, nel 1877, nell’immaginaria ma ormai arcinota Vigata (già teatro delle gesta del suo commissario Montalbano), ispirata alla città natale dello scrittore-sceneggiatore, Porto Empedocle. ‘La mossa del cavallo’, in onda lunedì in prima serata su Rai1, interpretato dal Michele Riondino che ha già collaborato con Camilleri e Tavarelli per ‘Il giovane Montalbano’, è il primo dei romanzi storici di Camilleri adattato per la tv ed è prodotto dalla Palomar di Carlo Degli esposti in collaborazione con Rai Fiction.

Reduce dai nuovi record d’ascolti ‘bulgari’ ottenuti da Montalbano, Camilleri si schermisce: “Provo un po’ di paura di fronte a tanto consenso, io ci trovo delle qualità ma non tali da giustificare questo plebiscito. Tanto che mi è venuto il cattivo pensiero che Montalbano venga usato come alibi. Cioè che la gente dica: ‘me lo guardo e poi vado a rubare'”. A chi attribuisce all’essere “rassicurante” il successo di Montalbano, Camilleri replica: “Montalbano non è affatto rassicurante come non lo è ‘La mossa del cavallo’ che anzi è proprio una critica a come si fece l’Italia unita”.

In Sicilia “si passò – sottolinea lo scrittore – dall’entusiasmo enorme per l’unità del 1860 al disamore, ad imbracciare le armi, in meno di 40 anni. I libri di storia se la cavano parlando di briganti ma quelli erano contadini arrabbiati. In questo romanzo ho cercato di chiamare le cose con il loro nome. La tassa sul macinato era odiosa. E la leva obbligatoria arrivò come una ulteriore tassa per le famiglie povere che si vedevano private di due braccia giovani per quattro anni. Uno degli errori più giganteschi del governo nazionale. E però, nello stesso tempo, questi ragazzi che partivano tutti insieme, dal Piemonte come dalla Sicilia, costituirono la prima vera unità d’Italia”.

In questo scenario si muove il giovane e intransigente ‘ispettore ai mulini’ Giovanni Bovara (Michele Riondino), che è nato a Vigata ma ha sempre vissuto al nord (nel genovese dall’accento che usa nella prima parte del film) ed è stato inviato in Sicilia per investigare sull’applicazione dell’imposta ‘sul macinato’ (l’odiata ‘tassa sul pane’ come veniva chiamata allora) che sta provocando episodi di corruzione e strane morti tra i funzionari. Proprio mentre indaga su funzionari corrotti e mulini clandestini gestiti dal boss locale, le cose si complicano perché Bovara assiste all’omicidio di un prete più che chiacchierato che ha molti nemici. Ma, grazie ad una trappola ordita da i veri colpevoli e da chi si sbarazzerebbe volentieri del suo atteggiamento da ispettore ligio al dovere, l’ispettore da accusatore diventa accusato.

Solo un’abile ‘mossa del cavallo’ gli permetterà di uscirne: cambierà linguaggio e dal genovese prenderà a parlare solo in siciliano. “Il recupero del dialetto siciliano gli permetterà di rivoltare a suo beneficio il senso e il significato delle parole”, come spiega lo stesso Camilleri. ‘La mossa del cavallo’ racconta sostanzialmente “di un’Italia divisa in due – sottolinea Tavarelli – sia politicamente che linguisticamente. Una storia, quindi, che riguarda da vicino l’Italia di oggi”.

Un romanzo di denuncia “ma ironico”, aggiunge il regista. “Una giostra di personaggi, situazioni, colori e umori caratteristici della Sicilia post-risorgimentale – aggiunge – un viaggio sull’ottovolante che avevo timore di non riuscire a restituire. La Sicilia allora era la terra di frontiera, un po’ come fosse il Far West italiano. Quindi abbiamo appoggiato sul romanzo di Camilleri il western all’italiana. Grazie a questa scelta la storia si sottrae a tutte le trappole del film in costume, mettendo insieme recitazione, immagini, attori e scelte di regia che passano dal grottesco al realismo, dalla commedia al film di denuncia”, aggiunge Tavarelli che dice di essersi ispirato tanto a Sergio Leone quanto a Tarantino.

A chi gli chiede come si senta ad essere stato con il suo ‘Montalbano’ il più grande divulgatore di un’immagine della Sicilia all’estero che non è solo mafia, Camilleri risponde: “Sono fiero di aver raccontato un’altra Sicilia rispetto a quella troppo raccontata della mafia. Ho scritto di mafia una sola volta. Mi fornirono i ‘pizzini’ di Provenzano e ci scrissi un libro. Ma i proventi di quel libro sono andati tutti alla Fondazione che ho costituito per figli dei poliziotti morti in servizio… Non ho voluto guadagnare un soldo parlando di mafia”, afferma Camilleri. Che poi, rispondendo ad un giovane giornalista che lo apostrofa con un ‘maestro’, implora: “Non chiamatemi maestro… Camilleri o Andrea va benissimo. Sciascia accettava perché era stato davvero maestro di scuola”.

Ad accogliere Camilleri a Viale Mazzini sono scesi dal sesto piano del palazzo Rai anche il presidente Monica Maggioni e il direttore generale Mario Orfeo, per un breve saluto perché impegnati poi nella seduta del Cda Rai. Lo scrittore è stato festeggiato anche da un lungo applauso di una gremitissima Sala degli Arazzi e dalle parole del direttore di Rai Fiction, Eleonora Andreatta. “Camilleri con i suoi romanzi e con le loro traduzioni televisive è diventato un autore-Paese, sinonimo di un racconto popolare che scava nella realtà e entra in sintonia con lo smarrimento e il bisogno di certezze dello spettatore. Forse, la perfetta sintesi tra letteratura popolare (che non rinuncia alla densità degli strati e delle letture) e televisione. E’ una biblioteca inesauribile, uno scrittore che si è alimentato di storie siciliane, sul filo trasversale della memoria, dove il piacere della narrazione e l’etica si danno la mano”, dice Andreatta.

Parole di grande gratitudine arrivano anche dal protagonista de ‘La mossa del cavallo’, Michele Riondino: “Non è stato facile lavorare a questo film. E’ un film coraggioso e mi piace la Rai quando rischia. ‘La mossa del cavallo’ è un romanzo estremo, il lettore non viene messo in condizione di comodità. E anche per un attore lavorare con due dialetti non è facile, all’inizio mi è parsa una pazzia. Poi però si è rivelato stimolante. Ho dovuto studiare il genovese con un attore ligure e mi sono aiutato anche ascoltando i discorsi – confessa l’attore – del capo degli ultrà della Sampdoria. Ma soprattutto devo ringraziare Andrea Camilleri che c’è sempre quando abbiamo bisogno di lui: avere accesso alla sua sapienza, al suo studio, al suo telefono ha un valore enorme…”, conclude.