Cardinale Sepe: La chiesa come “ospedale da campo”

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Sono stati celebrati ieri a Napoli i dieci anni di Eposcopato del Cardinale Crescenzio Sepe. La  solenne celebrazione eucaristica nella Chiesa Cattedrale ha visto tra gli altri la partecipazione di Mons. L. Lemmo, Mons. G.Acampa e Mons. S.Angerami.
 
Ecco di seguito la trascrizione dell’Omelia del Cardinale Sepe
 
“Cari Confratelli nell’Episcopato

Cari Sacerdoti, Diaconi, religiosi, seminaristi,
Distinte Autorità
Amici tutti,
Un cordiale saluto  e un sentito ringraziamento per la vostra gradita presenza a questa liturgia di ringraziamento, a ricordo del X Anniversario del mio servizio Episcopale in questa gloriosa e santa Chiesa che è in Napoli.
Al Padre della Vita, al Signore della Storia, allo Spirito Amore ogni onore e gloria!
10 anni: tempo di Dio che, il 1° luglio del 2006, mi inviò a Napoli come suo rappresentante, per servire la Chiesa e la comunità territoriale, annunciando a tutti il Vangelo del Regno e testimoniando il suo amore per ogni creatura.
Tempo di Dio: tempo del mistero di Dio che si è incarnato in Cristo, il quale ha trasmesso ad alcuni fragili e deboli uomini la missione di continuare l’opera di misericordia nell’oggi della storia.
Una chiamata d’amore per donare amore a tutti: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici; dare la vita come gratuitamente l’abbiamo ricevuta. Infatti, non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga”. 
Così mi sono immerso in questa terra, conoscendola sempre di più, cogliendone ed esaltandone i tanti pregi, denunciandone i difetti, evidenziandone le ansie, i disagi e i bisogni, condannando le azioni malavitose e illegali, invitando al pentimento e al cambiamento, sollecitando l’impegno di tutti a realizzare il bene comune, contro l’individualismo, l’egoismo, l’affarismo, la prepotenza.
E’ questa la mia missione, il mio servizio di amore verso un popolo generoso e cordiale che, da duemila anni, ha saputo professare, nella sua grande maggioranza, la sua fede a Cristo e alla Chiesa. Quanti santi, ieri e oggi, hanno reso e rendono bella e affascinante, anche davanti agli occhi del mondo, questa nostra santa Chiesa napoletana, fondata dagli Apostoli. 
Ho saputo adempiere al mandato datomi? Ho i miei grossi dubbi, ma ho anche la certezza che il mio Signore, ricco di bontà e di misericordia, mi perdona e supplisce, con la sua grazia, alla mia debolezza e ai miei limiti e non mi lascia solo.
Per questo lo ringrazio costatando con gioia che, per l’ininterrotta Successione Apostolica e per la trasmissione della fede operata da sacerdoti, religiosi/e e dal popolo di Dio, oggi la comunità ecclesiale e, per riflesso, quella civile, vive ancora sostanzialmente impregnata del Vangelo di Cristo e, seppure in forme spesso insufficienti o anche discutibili, non ha rifiutato le sue origini cristiane. È questa, in realtà, la sfida che, in ogni tempo e luogo, la società pone alla Chiesa.
Anche la Chiesa di Napoli si è interrogata e ha tentato di dare delle risposte che fossero adeguate alle profonde trasformazioni socio-culturali della nostra gente. Ciò va a onore e riconoscenza di quanti ci hanno preceduti nel servizio apostolico.
In questi ultimi anni, tutti noi membri di questa  Chiesa, abbiamo cercato di costruire un progetto pastorale basato su una dimensione fondamentale del nostro essere Chiesa: la comunione, intesa come partecipazione e missione sia dentro che fuori la comunità cristiana. Pensare insieme, progettare insieme per agire insieme nel nome di Cristo e con la forza dello Spirito Santo.
Questo impegno missionario ha comportato la necessità di aprire le porte e uscire per andare incontro a tanti che si sentono lontani o esclusi dal richiamo di Cristo o che rifiutano il suo Vangelo. Seguendo le  indicazioni dateci dal Papa San Giovanni Paolo II nella sua visita a Napoli e tenendo conto delle particolari esigenze del nostro popolo, abbiamo tracciato insieme il piano “Organizzare la Speranza”, articolato su tre pilastri: comunicare la fede, educare alla fede, vivere la fede, sui quali si sarebbe retta l’architettura dell’attività pastorale della nostra comunità.
Ma intanto emergeva sempre di più la necessità di coinvolgere tutti, non solo i fedeli, ma anche cittadini, istituzioni e associazioni, nel collaborare insieme per il recupero e la valorizzazione del territorio, favorendo una consapevolezza più attenta ai comportamenti etici e agli interessi generali della cittadinanza.
Nacque così la provvidenziale idea del  “Giubileo per Napoli”, indetto nel 2011. Dopo qualche iniziale, comprensibile disorientamento, lo spirito del Giubileo fu progressivamente recepito e assimilato dalle varie articolazioni della Diocesi e dalla comunità civile, modificando relazioni e linguaggi, abolendo barriere e pregiudizi, favorendo un lavoro sinergico, i cui frutti si notano ancora oggi.
Come icona del Giubileo fu scelta la tela delle “Sette opere di misericordia” del Caravaggio perché simboleggiava, in maniera impareggiabile, l’apertura della Chiesa ai bisogni della città, la concretezza dei suoi interventi, lo spirito di misericordia che l’avrebbe caratterizzata. 
La carità come opera di misericordia è così divenuta la strada su cui è incamminata la nostra Diocesi che vuole concretizzarla ogni anno, come già sta facendo, attraverso la pratica, una dopo l’altra, delle sette opere di misericordia. In tal modo, questa pratica, che non è certamente esauribile in un rigido elenco, ci aiuta a concretizzare il comandamento del Signore, promuovendo una coscienza aperta all’altro, alle sue necessità, ai bisogni comuni della collettività.
In questo nostro camminare insieme, che abbiamo sintetizzato nella Lettera pastorale “Canta e cammina”, siamo stati confortati dalla benedizione di Papa Benedetto XVI e dall’attuale magistero di Papa Francesco, che ci invita ad essere una “Chiesa in uscita”, cioè proiettata verso la comunità degli uomini, anche e soprattutto di quelli che sono andati via di casa, una chiesa aperta ad accogliere tutti e a curare, come in un “ospedale da campo”, le ferite dell’uomo d’oggi, smarrito e confuso, senza più utopie che lo sostengono, senza più fiducia in nulla e in nessuno, neanche in se stesso.
È il compito che la nostra comunità diocesana si è assunta in questi anni, riscoprendo la propria missione a servizio del progresso dell’uomo, dello sviluppo della vita, del benessere della casa comune, dell’avvenire per le nuove generazioni. In realtà, in questo campo rimane ancora tanto da fare. Importante è non lasciarci prendere da un pessimismo sterile, dall’individualismo, ma continuare ad essere segni di speranza per tutti, attuando la rivoluzione della carità e della misericordia.
Sollecitati, come Chiesa, a collaborare con tutti, dobbiamo immergerci nella vita della nostra gente fino a curare le ferite, fino a condividerne l’odore, fino a consumarsi, sulle orme del Maestro, per gli altri e dare la vita.
Chiediamo a Maria, nostra Madre, di aiutarci a fare sempre più bella e progredita la nostra Napoli, a testimoniare il comando del Signore di amarci gli uni gli altri, e a custodire, “mediante lo Spirito Santo” che abita in noi, il bene prezioso della fede che ci è stato affidato.
Dio vi benedica e ‘A Maronna V’accumpagna”.