Caso Torreggiani e altri c. Italia: qualcosa è cambiato?

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A tre anni dalla famosa sentenza Torreggiani, con la quale in data 8 gennaio 2013 la Corte Europea di Strasburgo condannava l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), le condizioni delle carceri italiane non sono migliorate.

Nei primi mesi del 2016 i numeri dei detenuti sono tornati a crescere e con essi il tasso di sovraffollamento, pari al 108 %; lo dice l’Associazione Antigone nel XII rapporto annuale “Galere d’Italia”.

La sentenza in esame non si limitava a prevedere una condanna per l’Italia in merito al singolo caso concreto – ricordiamo i sette ricorsi da parte dei detenuti delle carceri di Busto Arstizio e di Piacenza in merito ai trattamenti inumani e degradanti subiti negli istituti – ma riscontrava ingenti carenze strutturali nell’ambito dell’intero sistema penitenziario dell’ordinamento italiano.

La Corte ha qualificato, infatti, tale decisione come “sentenza pilota” ( pilot judgment) diretta a censurare violazioni strutturali con l’intento di determinare conseguenti adeguamenti dell’ordinamento interno; un anno il termine massimo per porre rimedio al sovraffollamento carcerario.

Nello specifico, i ricorrenti lamentavano spazi troppo esigui – 3 metri quadrati circa pro capite – in celle condivise, penuria di acqua calda, insufficiente luce naturale, mediocre stato di conservazione e di pulizia dei locali; tutto ciò in contrasto con la legge n. 354 del 26 luglio 1975 ( Legge sull’ordinamento penitenziario) che all’art. 6 dispone: “I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I detti locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia. […]”.

Alla luce di questa situazione di emergenza, l’Italia si è attivata , prima con il c.d. “Piano carceri” con l’obiettivo di costruire 11 nuovi istituti penitenziari e ampliare quelli già esistenti, poi con il decreto “Svuotacarceri” convertito in legge nel 2014 approvando rimedi risarcitori, sconti di pena e limiti all’applicazione del carcere preventivo.

Purtroppo, gli sforzi legislativi dell’Italia non sono risultati efficaci sul piano concreto; al 31 marzo 2016 sono circa 4mila le persone prive di un posto regolamentare, lo spazio vitale per molti reclusi è ridottissimo, ancora troppi sono gli imputati in attesa di sentenza definitiva, circa 34,6 % del totale rispetto al 20% di media europea.

Sembra essere, dunque, ancora aperta la sfida dell’Italia per un corretto funzionamento dell’amministrazione penitenziaria nel rispetto del principio essenziale di umanitarismo e solidarietà sociale.