Cattedrali urbane, l’intimità della città nello sguardo di Anna Rosati

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in foto Anna Rosati da Cattedrali Urbane, Bergamo_QWORK_ ©Anna Rosati Photographer, Ph Giovanna Vettori per All Photo Art

L’Occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte, in Italia e all’estero, avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

Nell’esperienza dello sguardo sopravvive un momento nel quale l’ordinario sembra cedere il passo all’inatteso, ed è esattamente lì che si colloca Cattedrali Urbane, il progetto di Anna Rosati approdato a Bergamo presso QWork, nell’ambito della XII edizione di Art2Night, e sino a novembre, trasformando uno spazio contemporaneo di lavoro condiviso in laboratorio di percezione e memoria. La mostra, giunta a Bergamo da un’intuizione dell’avvocato Gianluca Madonna – “Dopo aver visto le fotografie di Anna in mostra a Bologna è nata l’idea di portarle anche a Bergamo, perché sembra che questa fotografa sappia catturare l’anima dei luoghi, fermare o dilatare il tempo in uno spazio oltre” –  e realizzata grazie alla progettazione dell’architetta Arianna Foresti, si snoda tramite un allestimento che accoglie le opere dell’artista come un organismo vivo, teso a dialogare con il ritmo stesso della città e dell’insinuarsi tra le pieghe più profonde del quotidiano. Da oltre un decennio, la artista fotografa Anna Rosati conduce una riflessione sull’identità dello spazio urbano, interrogandone l’essenza tramite la metafora e la superfetazione di layers visuali e concettuali tralasciando la mera documentazione. Cattedrali Urbane, avviato nel 2014, è la risposta visiva a una domanda sottile: cosa accade quando l’occhio torna a posarsi, ostinatamente, sul medesimo luogo? Nella ripetizione che Gilles Deleuze definiva “trasgressione” – singolarità contro il particolare, eternità contro permanenza – l’artista trova la chiave di un racconto in perenne mutamento. Ogni opera nasce da un gesto reiterato eppure irripetibile; ed è Ella stessa a raccontare che “pur ripetendo il medesimo soggetto, a volte anche la medesima inquadratura, stravolgo l’idea di fotografia documentale concettuale, poiché questo vuole essere prima di tutto un racconto visivo che costringe, trasfigurandolo, a decifrare […] il concetto stesso di casa, come forma originaria della memoria del luogo urbano.”  Così, l’architettura fotografata non è mai semplice costruzione, si fa, piuttosto, archetipo urbano che, liberato dal vincolo della funzione, diviene emblema, reliquia, oggetto laicamente sacro nelle permanenze della natura. In una simile incessante dialettica tra identità e variazione, la Rosati dissolve la rigida tassonomia propria della fotografia d’architettura per approdare ad un linguaggio che è, al contempo, lirico e concettuale; “Cattedrali Urbane è una allegoria della memoria, un codice, un archivio di effimera essenza che tenta di tracciare le coordinate di un tempo che non tornerà” afferma Azzurra Immediato nel testo critico. Come sempre nella ricerca della Rosati, ognuno degli scatti assume il ruolo di atto di trasfigurazione e la sua sperimentazione in fase di postproduzione – con le sue sovrapposizioni, saturazioni esasperate, cromie reinventate – non tradisce la realtà, ma ne svela l’essenza più profonda, fondendo elementi disgiunti in un unico piano percettivo. Si genera così un’illusione che non è inganno, ma rivelazione di un paesaggio urbano che si scopre differente ad ogni sguardo, moltiplicato, gemmato, impossibile da sostituire. La ripetizione diviene allora un esercizio di conoscenza. Come nel pensiero humiano, l’una immagine non appare senza che l’altra sia scomparsa: è nell’istante della sottrazione, nella contrazione percettiva, che si manifesta la sostanza del luogo. L’edificio urbano smette di essere semplice infrastruttura per farsi “cattedrale laica”, custode di una memoria collettiva che appartiene tanto alla città quanto al singolo sguardo che la attraversa anche a partire dal profilo ‘semplice ed elementare’ dell’edificio prescelto. La struttura stessa del progetto, articolata in capitoli – Umbrae, Est, Lux, Pars Construens, Codex – suggerisce l’idea di un atlante visivo in continua espansione – ed ancora in fieri – ogni sezione è una variazione sul tema della permanenza, ogni serie un frammento di un più ampio discorso sull’identità mutevole dell’urbano. Eppure, nulla è mai definitivo: Cattedrali Urbane non è un’opera compiuta, ma un organismo in divenire, un archivio di istanti che si rinnovano senza sosta. Portare questa ricerca all’interno di uno spazio come QWork non è stata e non è una semplice operazione espositiva, quanto, piuttosto il desiderio di mettere in discussione il confine tra lavoro e osservazione, tra funzionalità e poesia. Affermare che la città non è mai soltanto scenario, ma corpo vivo che ci abita mentre lo abitiamo, materia che si plasma secondo il ritmo dello sguardo e la profondità della memoria. Così, davanti alle opere di Anna Rosati, non ci si limita a guardare, semmai si è chiamati a partecipare a un rituale visivo, in cui il reale e l’immaginario si intrecciano fino a confondersi. E forse è proprio in questa con_fusione, in un tale spazio interstiziale tra ciò che è e ciò che appare, che la fotografia rivela la sua più alta vocazione, non già e non solo rappresentare il mondo, ma reinventarlo.