C’è il petrolio dietro la carezza di Macron al Papa

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Una carezza al papa da parte di un capo di Stato non s‘era mai vista prima. Non in pubblico, almeno, e non soltanto per una rigida questione di protocollo. E, dunque, fa anche più specie se a farla, la carezza, è il presidente laico di uno Stato che del principio di laicità ha fatto un caposaldo della Costituzione (all’articolo 1 della Carta del 1946, riproposto con la stessa formula poi nell’articolo 2 della Costituzione del 1958): “la France est une République indivisible, laïque, démocratique et sociale”.
Ci deve essere per forza dell’altro, perciò, dietro la carezza che Emmanuel Macron – a favore di macchine fotografiche e telecamere – fa a Papa Francesco, che incontra in Vaticano in visita privata, senza peraltro mostrare il garbo, almeno ufficialmente, di omaggiare nel contempo anche le autorità omologhe dello Stato entro-Tevere e, cioè, quelle italiane.
Insomma, il messaggio subliminale è chiaro per chi ha a cuore le sorti di fratelli sfortunati che fuggono da guerre, persecuzioni e miseria – o anche più semplicemente, e sono i più, per inseguire il miraggio del consumismo – e affrontano il rischio, spesso pagato con la vita, di umilianti e dolorosissime traversate del deserto, prima, e del mare, poi, nella prospettiva di una condizione umana finalmente dignitosa per sé e i propri cari. Prospettiva assai lecita che, però, con l’insediamento del governo giallo-verde alla guida dell’Italia è diventata – per ragioni molto pratiche, al di là dei sentimenti di cristiana fede o laica fraternité – d’emblée più difficile. Ma che, tuttavia, alla prova dei fatti, né la laica Francia né il Vaticano intendono facilitare aprendo, magari, ciascuno le proprie porte, come purtroppo dimostrano i casi di Ventimiglia, per i francesi e un reportage della trasmissione Piazza Pulita condotta dal giornalista Corrado Formigli, per la Città del Vaticano.
C’è dell’altro, dunque, è lecito pensare, dietro la questione immigrati declinata – secondo i rispettivi punti di vista, appunto – nelle opposte forme di populismo. Insomma, non ci sono solo i progetti pseudo-filantropici del finanziere Soros. Per dire, per Francesca Pierantozzi, del “Messaggero”, il vero motivo per cui la Francia, sulla questione degli immigrati, offende a più riprese l’Italia nasconde un altro e più concreto interesse, quello del petrolio. Vi è, insomma –spiega ai non addetti ai lavori con la solita immediatezza il sito Dagospia.com – che la diplomazia di Macron con il libico Khalifa Belqasim Haftar è arrivata in ritardo rispetto a Eni che, pur surclassando Total in Libia, ora punta all’Algeria. Insomma, dietro le scaramucce diplomatiche c’è la conquista (economica) dell’Africa, cara alla Francia. E l’Italia, per una volta, non intende stare a guardare.
Il braccio di ferro con i fratelli-cugini-serpenti d’Oltralpe, tuttavia, rischia di mettere in ombra gli altri e non meno gravi problemi che attanagliano il Belpaese. A cominciare dalle difficoltà economiche con cui gli italiani debbono giornalmente misurarsi. Difficoltà che la maggior parte dei media registra per dovere di cronaca, ma racconta quasi con fastidio, forse in ossequio al vecchio ceto politico (spazzato via, peraltro, anche a livello di governo dei territori, come appunto indicano i recenti risultati delle elezioni amministrative), forse per non alimentare altre ondate populistiche. Sta di fatto che, mentre la Camera prova a riformare i “diritti quesiti” legati ai vitalizi degli ex parlamentari e il Senato invece sullo stesso tema si arrocca dietro le posizioni resistenti della presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati (Fi), ci sono cinque milioni di italiani (dati Istat) che vivono in povertà assoluta e che si sommano ad altri cinque (come abbiamo più volte scritto in questa rubrica) che vivono in situazione di grave indigenza. E ce n’è, poi, un’altra consistente fetta (l’ex ceto medio) – famiglie allocate in prevalenza al Sud, ma non solo – che teme non poco i rincari che arriveranno da lunedì con le bollette della luce (+6,5%) e del gas (+8,2%). Famiglie che temono ancor più le stime negative di Confindustria, la quale – nell’ultimo rapporto del Centro Studi – prevede una frenata del pil (quest’anno sarà al 1,3% rispetto alla precedente stima del 1,5%) ed un decremento dell’occupazione precaria (“crescerà ad un ritmo sotto l’1% sia nel 2018 sia nel 2019”) dal momento che quella a tempo indeterminato non cresce più. E considera addirittura “plausibile la richiesta di una manovra correttiva in corso d’anno”.

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