Cenerentola, ironica lotta di classe ascesa e declino di un melodramma

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Gabriele FerroIl teatro di San Carlo riporta nuovamente a casa, tra le sue liriche braccia, l’amatissimo direttore Gabriele Ferro per la direzione de La Cenerentola ossia la bontà in trionfo, dramma giocoso in due atti di Gioachino Rossini su libretto di Jacopo Ferretti, in scena al Massimo napoletano da giovedì 18 giugno e in replica fino a martedì 30. La storia ha scritto tanto di quest’opera sin dalla sua rappresentazione d’esordio al teatro Valle di Roma del 25 gennaio 1817, prima ancora che il compositore pesarese compisse venticinque anni. Scritta celermente, l’opera lasciò gli appassionati esterrefatti, sia per le innovazioni musicali sia per la messinscena teatrale. Eliminata qualsiasi implicazione magica e fiabesca, Rossini pose in essa una trascinante vena farsesca, ma accanto a burle, travestimenti e ironia vi troviamo ancora oggi un’ombra di malinconia. Penultimo appuntamento della Stagione d’Opera e di Balletto, in attesa del San Carlo Opera Festival, La Cenerentola è un altro ritorno a casa dopo una dozzina di anni dalla prima rappresentazione sancarliana sotto l’appassionata direzione di Gabriele Ferro. “Nel 2003 quest’opera di Rossini debuttò al San Carlo – ricorda Ferro – quasi a chiusura della mia direzione musicale del Massimo napoletano caduta l’anno dopo. Fu un gran successo, di pari portata rispetto a quello trionfale di Vienna del 1998 ed a quello successivo nella nuova versione di Los Angeles. Qui l’allestimento è firmato dallo scozzese Paul Curran, a Napoli ripreso da Oscar Cecchi, con le scene di Pasquale Grossi e i costumi di Zaira de Vincentiis”. È bene precisare che il regista Paul Curran ha scelto di ambientare la storia di Cenerentola nel 1912 per meglio sottolineare le differenze di classe. È in quegli anni infatti che la disparità tra le classi sociali si fa particolarmente evidente. Disparità che nel libretto di Ferretti è messa in rilievo nelle diversità tra il mondo della protagonista e quello del principe. Nessuna magia dunque o atmosfera da favola, ma una leggerezza di fondo resa attraverso il filtro dell’ironia. Il colore predominante in palcoscenico è l’azzurro in tutte le sue gradazioni. Anche per queste ragioni Cenerentola rimane una figura piuttosto anomala nel genere dell’opera buffa, sia dal punto di vista dello “spessore” psicologico, sia da quello più propriamente vocale. Cosicché a vestire i suoi panni è Serena Malfi, giovane mezzosoprano napoletano che vanta già una carriera internazionale (si è esibita, infatti, al Covent Garden, all’Opéra de Paris, alla Wiener Staatsoper) ma che, soprattutto, è più che avvezza al ruolo per averne lasciato il segno vocale con successo a Valencia, Mosca, Buenos Aires e le già citate Vienna e Parigi. “È un sogno lavorare al San Carlo – ammette la Malfi – soprattutto dopo un tour internazionale con tappe incredibili come New York, Madrid, Toronto, Berlino e finanche in Oman. Aspetto i miei prossimi impegni di Dresda e Losanna con il vento in poppa di questa Cenerentola”. In quest’ottica il San Carlo gioca le carte vincenti del direttore e del mezzosoprano per entrare nel novero dei grandi palcoscenici rossiniani, in particolare con questo libretto e spartito di primissimo ordine. La Cenerentola della Malfi è sospesa tra sogno e realtà con una personalità ben delineata, fin da subito differente dagli altri personaggi. La sua linea di canto è accurata, fitta di ornamenti, virtuosistica, caratteristiche che solo a tratti si ritrovano nelle altre parti, quella di Dandini, ad esempio, o quella di Alidoro. “Rispetto a questa Cenerentola – chio Ferro – appartengono al genere buffo Don Magnifico, Clorinda e Tisbe, psicologicamente immobili, incapaci di ogni trasformazione. Tuttavia sono convinto che i vari accorgimenti avvenuti nel tempo hanno consentito all’opera di superare un periodo di declino, consegnandola finalmente stabilmente al repertorio e confermandola tra le più amate di Rossini”.