Cento anni di Pasolini. I Comizi d’amore e la spietata smemoratezza dell’Italia

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in foto Pier Paolo Pasolini

di Erika Basile

“Ma davvero agli uomini interessa qualcos’altro che vivere?” si chiede nei suoi Comizi d’amore Pier Paolo Pasolini. Un’inchiesta dissacrante, condotta in giro per l’Italia nel 1963, che intende registrare le opinioni sulla sessualità tra persone appartenenti a ogni fascia d’età e a ogni ceto sociale. Girato da marzo a novembre, è proiettato al Festival di Locarno il 26 luglio 1964 e l’anno successivo arriva nelle sale, vietato ai minori di diciotto anni. Il film è diviso per argomenti, in 6 capitoli. Alle interviste si alternano i dialoghi con Alberto Moravia e Cesare Musatti. Che sono interpellati, in veste di autorità, per commentare i risultati dell’indagine. Siamo in un periodo di profonde trasformazioni. La ripresa economica e l’approdo al consumismo generano benessere a macchia d’olio. Si comincia a parlare di diritti civili, di parità di genere, di libertà sessuale.
Pochi anni prima, Edgar Morin, sociologo, e Jean Rouch, regista ed etnologo, realizzano Chronique d’un été (1960). Senza nessun copione, con una camera a mano 16mm e un magnetofono portatile, girano per le strade assolate di Parigi, chiedendo “Sei felice? Come vivi?”. Ne deriva il primo esempio di cinéma vérité, teorizzato dallo stesso Morin. Un nuovo approccio cinematografico alla realtà, che applica il rigore del documentario ai contenuti propri dei lungometraggi di finzione, volti a indagare la vita soggettiva.
Pasolini, in quel periodo, ha già intrapreso la sua ricerca stilistica nel cinema. Accattone, Mamma Roma, La ricotta e La rabbia rivelano da subito il suo approccio poetico e figurativo alla settima arte. Ma anche la sua “ideologia personale, di vitalismo, di amore del vivere dentro le cose, nella vita, nella realtà”.
Mentre è impegnato a cercare gli attori per il nuovo film, Il Vangelo secondo Matteo, decide di sondare, in un documentario, pensieri e reazioni degli italiani sulla questione sessuale, considerata ancora un tabù non solo sullo schermo ma anche nei salotti. “Una specie di crociata contro l’ignoranza e la paura”, afferma. L’ignoranza e la paura – ricorda Musatti – sono strettamente collegate. Quando qualcosa spaventa, perché non è conforme a determinate convenzioni e istituzioni, scatta un meccanismo di difesa che spinge a relegarla in un antro, per non doverla affrontare. E la paura dell’istintività genera forme di conformismo.
Il lungo viaggio procede tra piazze, spiagge, treni e campagne; nelle balere, davanti a fabbriche e università. La prima scena si apre tra i “malandrini” napoletani a cui viene chiesto come nascono i bambini. Li porta la cicogna, la levatrice, li manda Gesù, arrivano con lo zio. Sorridono, inventano. I loro volti incantano. Dal gallismo alla prostituzione, dalla libertà sessuale alla verginità, dall’omosessualità al divorzio, dalle case di tolleranza al matrimonio. Nessun argomento è evitato da Pasolini. Il valore dell’inchiesta è indipendente dal risultato. Omissioni e reticenze non ne intaccano il merito di essere la prima esperienza di cinema verità che affronta questi temi. Oltre a offrire lo spaccato di un Paese profondamente diviso, in cui al miracolo economico non è corrisposto un “contemporaneo miracolo culturale e spirituale. […] L’Italia del benessere materiale viene drammaticamente contraddetta, nello spirito, da questi italiani reali”.
Nel mondo contadino, in crisi, sopravvive l’antico amore per la vita, brutalizzato dal mondo industriale. Nel profondo Sud, “vecchio ma intatto”, le idee sul sesso appaiono più chiare: “Guai alle svergognate, guai ai cornuti, guai a chi non sa ammazzare per onore!”. C’è uno scollamento tra l’ardore sessuale degli uomini e la prigionia delle donne, a cui è vietato fare qualsiasi cosa. “Sono venuto in Sicilia per raccogliere del materiale sulla vita sessuale condizionata dalla miseria e il fatto più clamoroso di questo è che le donne sono inavvicinabili”. La gelosia maschile giustifica ogni cosa. Il Nord è più moderno ma le idee sul sesso appaiono confuse. In generale, anche molte donne si mostrano contrarie alla parità di diritti. Riguardo l’omosessualità, i sentimenti ondeggiano tra la pietà, lo schifo, il compatimento, il ribrezzo, l’orrore.
“Sono reduce da un mondo di scandalizzati. Tu, Moravia, ti scandalizzi o no?”.
“No, mai. C’è sempre la possibilità di capire le cose. E le cose che si capiscono non           scandalizzano. […] Una credenza che sia stata conquistata con l’uso della ragione e con un esatto esame della realtà è abbastanza elastica per non scandalizzarsi mai”.
Tutto ciò che viene accolto passivamente, senza essere stato analizzato in modo critico, è un conformismo, “testarda certezza degli incerti”. Al Lido di Venezia discute di libertà sessuale con Oriana Fallaci, Camilla Cederna e Adele Cambria.
Interroga Giuseppe Ungaretti sul concetto di normalità sessuale: “Ogni uomo – risponde il poeta – è fatto in modo diverso, nella sua struttura fisica ed è fatto anche in modo diverso nella sua combinazione spirituale. […] Quindi, tutti gli uomini sono a loro modo anormali. […] Io sono un poeta. Incomincio col trasgredire tutte le leggi facendo della poesia”.
Ovunque si difende il matrimonio borghese, la famiglia come nucleo sano della struttura sociale. Ma, nello stesso tempo, appare unanime la protesta contro la legge Merlin del 1958 e la chiusura delle case di tolleranza. Con ironia e garbo, Pasolini tenta di scalfire le certezze dei suoi interlocutori, svelandone l’ipocrisia, e di far emergere maieuticamente la verità. Operai, contadini, borghesia vacanziera, intellettuali da salotto sono pungolati con domande provocatorie. Tuttavia, al di là delle parole, inquadratura dopo inquadratura, resta lo studio sui volti e sui corpi. L’obiettivo fissa i gesti, la fisicità, gli sguardi, le esitazioni e le risatine. Nel generale conformismo, la “bella sorpresa” dell’inchiesta sono le ragazzine, che mostrano di avere “idee limpide e coraggiose”.
Definito da Serafino Murri “un saggio in forma di cinema”, Comizi d’amore attesta un vuoto di conoscenza e consapevolezza che permane, nonostante i mutamenti in atto nella società italiana, figlia della ricostruzione post bellica. Documenta, inoltre, i primi segnali di quella “mutazione antropologica”, che sarà oggetto di indagine e di critica negli Scritti corsari e nelle Lettere luterane. Una mutazione linguistica, etica ed estetica che certifica la sopraffazione omologatrice della cultura consumistica. Che, uniformando pensieri e desideri, controlla i corpi e li riduce a mero oggetto. “Fu guardando il modo di vestirsi, di pettinarsi e di parlare dei giovani che Pasolini introdusse il concetto, oggi tanto consumato, di omologazione. Fu dopo aver studiato il deperimento dei dialetti e la perdita della memoria storica che parlò di rivoluzione antropologica”, nota Vincenzo Cerami.
Nel corso degli anni, l’attacco che Pasolini rivolge contro il modello borghese, veicolato dai nuovi mezzi di comunicazione, diviene sempre più feroce. In un articolo apparso il 9 dicembre 1973 sul Corriere della Sera sostiene che “per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero Paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè […] i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un ‘uomo che consuma’, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neolaico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. […] La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto ‘mezzo tecnico’, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. […] Così che in un periodo di emergenza che sembra però destinato a fissarsi e a essere il nostro futuro, la televisione diventerà ancora più potente: e la violenza del suo bombardamento ideologico non avrà più limiti. La forma di vita – sottoculturale, qualunquistica e volgare – descritta e imposta dalla televisione non avrà più alternative”.
Un presagio. Gli effetti, chiaramente (e tristemente) visibili a distanza di mezzo secolo, mostrano la lungimiranza della sua analisi. I rituali condivisi acriticamente, la crisi delle tradizioni popolari, la massificazione del linguaggio e l’affermarsi di pseudo valori hanno generato, infatti, un appiattimento intellettuale e identitario. Il sonno della ragione e delle coscienze.
L’Italia fotografata da Pasolini nel 1963, tra inibizione e repressione, non esiste più. Di amore e di sesso, ora, si parla liberamente. Se ne parla ovunque. Ma possiamo realmente affermare di essere liberi da pregiudizi e condizionamenti?
“Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, imparerebbe che questo Paese è speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale”.
In fondo, non siamo poi così diversi da Tonino e Graziella, i due giovani che nel finale di Comizi d’amore si sposano. Con la “spietata smemoratezza” di tutto il male e il bene che li ha preceduti. “Chi sa tace di fronte alla loro grazia che non vuole sapere. E invece il silenzio è colpevole”. Perciò l’augurio che Pasolini rivolge a Tonino e Graziella risuona come un monito, per tutti: “al vostro amore si aggiunga la coscienza del vostro amore”.