Chi paga la Malagiustizia?

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Sono molti i dati che il lavoro di Nicola Cioffi (“La responsabilità civile e disciplinare dei Magistrati”, Uif 2015) presenta ed ai quali è possibile legare alcune riflessioni anche da parte di chi non è un “togato”. Una in particolare: se dal ’98 al 2014 il Consiglio superiore della Magistratura ha aperto, complessivamente, non meno di 15 mila procedimenti disciplinari, sono adeguate, rapportate a questo numero non certo irrilevante, le 555 sanzioni e sentenze di condanna che sono state inflitte? Se poi si considera che dalla legge Vassalli (1988) in poi, sono state proposte 410 cause civili per “malagiustizia” e che soltanto sette sono state accolte, ci si può ancora chiedere: la magistratura continua a essere una casta, un potere intoccabile e chiuso in sé, oppure, anche se con una lentezza esasperante, questo potere è un po’ meno autoreferenziale e anche i giudici sono chiamati a dare più direttamente, e personalmente, conto di sé? Certo, le leggi di cui si occupa Cioffi segnano una svolta di non poco rilievo. Erano, infatti, da tempo oggetto di un serrato confronto, fra gli studiosi e il Palamento, i problemi della responsabilità civile dei magistrati, dell’azione risarcitoria del danneggiato contro lo Stato, dell’eventuale azione di rivalsa dello Stato contro il magistrato.Nicola Cioffi C’era bisogno di un adeguamento alle nuove esigenze per uscire dal “porto delle nebbie” dove vinceva non chi aveva più ragione, ma più mezzi da far valere nelle aule giudiziarie. Si parlava di una “giustizia per ricchi” che occorreva decisamente superare. Questa idea, così presente nell’immaginario collettivo, non nasceva dalla pregiudizialmente negativa rappresentazione delle vicende fatta dai massmedia. Erano i fatti stessi che la legittimavano con le tante denunce che si susseguivano e che riguardavano gli stili di vita, i comportamenti professionali, la produttività del lavoro svolto nei tribunali. Si vedevano magistrati che trascorrevano più tempo in tv che nei loro uffici. La lezione di Piero Calamandrei (“i magistrati debbono parlare solo con le loro sentenze”) diventava più che residuale nella formazione e nella coscienza etico-morale dei nuovi quadri giudiziari. Man mano che ci si avvicinava alle tre leggi (Cioffi sembra volerle, con sistematica precisione, disaggregare e riaggregare) si rinnovavano dubbi e perplessità del tipo: chi accerta il dolo o la colpa grave? Se sono altri magistrati a farlo, è pensabile che “lupo mangi lupo?” E poi: vinta un’azione risarcitoria, paga il magistrato (come succede ai medici per gli episodi di malasanità) o lo Stato? Sullo sfondo il ruolo del Csm: autogoverno della professione o della corporazione? Così anche l’Associazione nazionale: un sindacato diviso per correnti e appartenenze ideologiche, se non dichiaratamente politiche, era la vera difesa dell’autonomia dei magistrati? A rendere più insistenti i dubbi e conflittuale il confronto (a volte ben poco dialettico) le ricorrenti invasioni di campo tra politica e magistratura. Più recentemente lo “scontro” ha riguardato perfino le ferie dei magistrati, troppe per il premier Matteo Renzi (un grottesco episodio a Santa Maria Capua Vetere: la presidente del Tribunale respinge la domanda dei magistrati che chiedono di lavorare a casa propria per tutto il mese di agosto, il Csm invece l’accoglie). Dal 1988 qualcosa di rilevante è accaduto, come documenta Nicola Cioffi. Resta però quello che già, a suo tempo, diceva Dante quando affermava: “Le leggi son” e poi si chiedeva: “Ma chi pon mano ad elle?”. Se le leggi bastassero da sole a risolvere i problemi, il nostro Paese dovrebbe funzionare meglio di un orologio svizzero. Come, in più passaggi del suo lavoro, fa capire Cioffi, serve la minore macchinosità delle procedure legislative, ma senza sottovalutare il Codice etico e deontologico per le attività che debbono avere come fondamento il rapporto fiduciario con i cittadini, nel pieno rispetto dell’ordinamento costituzionale. Obiettivo, infatti, non è tanto la Repubblica delle istituzioni quanto la Repubblica dei cittadini incoraggiati sempre più a non discostarsi dalla fondamentale equazione diritti e doveri.