Competere? Gli italiani preferiscono le corporazioni

471

Uno dei sommi problemi del funzionamento della democrazia italiana è legato alla stabilità degli esecutivi. Abbiamo un sistema ereditato dalla costituzione del 1948 che funzionava perfettamente ai tempi della guerra fredda ma oggi è del tutto anacronistico. Ricordiamo inoltre che la forma di governo non è neutra rispetto alle scelte di politica economica. Come è stato documentato dal lavoro di Torsten Persson, Gerard Roland e Guido Tabellini, la frammentazione politica e la competizione tra partiti della medesima coalizione fornisce un potente incentivo a spendere, rispetto a governi sostenuti da un partito, in cui l’unica competizione riconoscibile è quella, più sana, tra maggioranza ed opposizione. A tal proposito, manca sempre in Italia un puntuale dibattito della enorme ingiustizia che si perpetra ai danni delle giovani generazioni, da lungo tempo. Le forze politiche sono sempre riluttanti ad ammettere che la spesa pubblica per pensioni è eccessiva ed insostenibile mentre i provvedimenti di riforma (es. Dini e Fornero) sono stati votati dal Parlamento solo sotto la copertura di governi tecnici, in modo da poter scaricare facilmente e populisticamente la ”colpa”, preoccupati di non perdere consenso elettorale. Ricordiamo che i media hanno una enorme responsabilità al riguardo, anche perché hanno scelto di non illustrare il problema col necessario allarme, spiegando il carattere di immensa ingiustizia intergenerazionale in corso.

I picchi di disonestà intellettuale sono purtroppo una peculiarità della politica italiana mentre in pochi ricordano che già Aristotele spiegava come la Demagogia fosse la peggiore possibile tra le forme di governo, poiché mira a favorire in maniera indebita i poveri rispetto ai ricchi, incorrendo nell’errore di considerare tutti gli uomini uguali in tutto, mentre sono uguali solo per natura. La demagogia rivive una nuova giovinezza nell’era moderna?

Per una volta voglio provare a essere un po’ ottimista. Non condivido le visioni catastrofiste di chi prende alla lettera le proposte, spesso ridicolmente assurde e slegate dalla realtà, di varie forze politiche e prospetta disastri inenarrabili qualora dovessero prendere il potere. Alla fine la realtà ha il suo modo di affermarsi. Dall’opposizione è facile proporre aumenti della spesa e tagli delle tasse finanziati a debito, ma quando si è al governo normalmente si cambia opinione, di solito senza dirlo. Demagogia e disonestà intellettuale non sono certo un male solo italiano, anche se in effetti l’Italia sembra scontare una più profonda ignoranza del pubblico sui temi economici e finanziari. Quindi non temo crolli improvvisi, a meno di forti scrolloni esterni. Si continuerà un declino più o meno lento e prolungato nel tempo. D’altra parte al momento non pare stagliarsi all’orizzonte nessuna forza con una proposta che potrebbe effettivamente riavviare in modo consistente la crescita della produttività, che è la condizione necessaria per una svolta non solo in campo economico.

Da numerosi decenni, in Italia assistiamo al sempiterno e letale spettacolo del trionfo dell’incentivo a spendere denaro pubblico –molto a debito- da parte dei politici ed una delle più drammatiche voci è quella pensionistica. Chi si augurava di poter assistere ad un freno, dopo la “legge Fornero”, rispetto a questo furto generazionale deve ora ricredersi, vista la sentenza della Consulta?

La sentenza della consulta riguarda un problema di relativamente breve periodo, il recupero dell’indicizzazione relativa al biennio 2012-2013 per le pensioni medio-alte. Nel lungo periodo il passaggio al contributivo sarà un freno efficace all’aumento della spesa. Per gli scenari relativi alle coperture, si scatenerà la fantasia dei nostri ministeri. Se dovessi scommettere punterei su un qualche provvedimento di limitazione retroattiva dell’indicizzazione per le pensioni più alte (per esempio quelle superiore a 8 volte il minimo) accoppiato con un ritardo nei rimborsi. Ma alla fantasia non c’è limite.

E’ dalla famosa lettera dell’allora presidente della Bce Jean-Claude Trichet e del suo successore Mario Draghi che si spiega e chiede all’Italia di aggredire lo stock di debito alla sua base, alimentando al tempo stesso la crescita del Pil attraverso liberalizzazione dei servizi pubblici e privatizzazioni su larga scala. Il progetto di riforma necessita di abbassare le tasse sul lavoro e sulle imprese, per rilanciare la crescita, tagliare la spesa pubblica improduttiva e riformare –modernizzando- la pubblica amministrazione a partire dalla giustizia. Perché non lo facciamo e quanto la “domanda dal basso” di riforme è forte ed in grado di condizionare l’offerta di azione politica?

Guarda, qua è bene essere realisti. La domanda dal basso non c’è per la banale ragione che gli italiani che vogliono queste riforme sono pochissimi. Questa è la ragione per cui le poche cose incisive che vengono fatte, come ad esempio la riforma Fornero, accadono solo sotto emergenza, quando la realtà morde i garretti del paese. Passata l’emergenza le preferenze per una struttura regolatoria che favorisce le corporazione e impedisce la concorrenza riprende il sopravvento.

Rispetto al tema della spesa pubblica – in particolare riguardante i capitoli di spesa “sanità, scuola e pensioni” – come si svolge il dibattito negli Stati Uniti e con quali prospettive per le prossime presidenziali?

Gli Stati Uniti hanno regole molto diverse da quelle italiane e questo influenza il dibattito. Scuola e università sono decentrate, quindi il grosso del dibattito si svolge nei singoli Stati e nelle contee. Il sistema pensionistico pubblico è in buona salute, se comparato a quello italiano, è anche qui la discussione è poca. C’è invece un acceso dibattito sulla sanità, dato che i repubblicani vogliono eliminare le recenti riforme di Obama. Dubito che riescano a farlo completamente anche se vinceranno le elezioni, ma di sicuro una vittoria repubblicana implicherà minore intervento dello Stato nella sanità.

In questi ultimi anni il dibattito su quale fosse la migliore riforma necessaria a garantire il buon funzionamento del sistema Italia è stato ricco e lungo ed ancora oggi il tema delle riforme costituzionali resta all’ordine del giorno: come interpretarlo? 

Le riforme istituzionali sono importanti, ma da sole non potranno mai bastare. Il problema è costruire una coalizione sociale che spinga per una maggiore libertà economica e per un maggior controllo di efficienza del settore pubblico, ma tale prospettiva al momento mi pare poco realistica. Il rafforzamento formale della posizione dell’esecutivo può aiutare, ma da sola non basterà mai. Abbiamo avuto periodi negli ultimi 20 anni con esecutivi effettivamente forti ma completamente incapaci di fare riforme.

Rispetto alla idea di centralità degli elettori, favorendo un rapporto più personale tra elettore ed eletto, già il primo ministro De Gasperi negli anni del dopoguerra tentò l’opera di rafforzamento del potere da affidare agli elettori italiani nella scelta del governo. E’ sempre il modello maggioritario il migliore a cui tendere?

Ho una visione molto meno favorevole del tentativo degasperiano di modifica della legge elettorale. Ricordiamo che il premio sarebbe stato dato alla coalizione che comunque avesse già la maggioranza per governare; non serviva quindi per la governabilità. Era probabilmente un artificio per garantire alla Democrazia Cristiana la maggioranza dei seggi, limitando l’influenza dei laici. Alla fine il premio non scattò principalmente per l’opposizione di gruppi liberali che rifiutarono di coalizzarsi con la DC (qualcuno ricorda Epicarmo Corbino?). Io sono favorevole a una legge elettorale maggioritaria con collegi uninominali e sistema di elezione a doppio turno o (se è concesso sognare) all’australiana. Il Porcellum ha distrutto tutti i passi che erano stati fatti verso questi obiettivi e l’Italicum ha migliorato qualcosa ma è ben lontano dall’essere una buona riforma ma sulla questione della legge elettorale, gli avversari conservatori sono praticamente tutti.

Ricordando che la Costituzione italiana fu approvata in meno di due anni, si può essere contrari alle modifiche costituzionali, senza bisogno di urlare alla svolta autoritaria. L’azione di riforma portata avanti da Matteo Renzi che caratteristiche presenta? E quali contraddizioni emergono?

Perfettamente d’accordo che sulla riforma costituzionale, così come sulla legge elettorale, si usino spesso toni allarmistici eccessivi. Sul giudizio di merito, mi pare troppo presto per dire. Al momento abbiamo solo l’Italicum, che è un miglioramento rispetto sia al Porcellum sia al sistema proporzionale risultante dalla sentenza della Consulta, ma mantiene buona parte dei difetti del Porcellum. La riforma del Senato mi pare abbastanza in alto mare e con prospettive incerte, ora che Forza Italia sembra essersi posizionata decisamente all’opposizione. Vediamo cosa ne esce. Al momento ci troviamo con un bel guazzabuglio, l’Italicum alla Camera e un sistema proporzionale per il Senato.

Il 9 giugno 1991, gli italiani votarono per l’abrogazione della preferenza plurima dei candidati alla Camera, in un referendum proposto dal Partito radicale e da Mario Segni. I «sì» vinsero a grande maggioranza (95,6%) e l’affluenza alle urne fu alta (62,5%) nonostante l’invito di Bettino Craxi e Umberto Bossi ad «andare al mare». Chi sono oggi i sostenitori del sistema che ha regalato ai contribuenti italiani tanti “Batman Fiorito” e perché sostengono ancora tale modello?

In effetti è abbastanza curioso, oggi sembrano tutti pensare che le preferenze siano una grande idea. Temo sia semplicemente smemoratezza e mancanza di osservazione della realtà. Anche in questo caso non ho sentito nessuno opporsi. Nei piccoli partiti saranno probabilmente poco rilevanti, dato che gli eletti in grossa parte saranno i capilista bloccati. Sarebbero completamente irrilevanti nei piccoli partiti se non fosse stata ammessa la possibilità di candidatura in più collegi, un aspetto deleterio del Porcellum che l’Italicum ha più o meno mantenuto.

Tu vivi e lavori in America dove le primarie sono il primo meccanismo di selezione democratica che offre anche enormi spazi di condivisione ed aggregazione; potrebbe esser il modello replicato in Italia anche ope legis oppure si corrono sempre gli stessi rischi delle preferenze?

In America le primarie assumono modalità diversissime a seconda degli Stati. In generale lasciano minore possibilità di manipolazione del risultato rispetto al sistema delle preferenze, ma ogni tanto capitano cose poco chiare. Le primarie sono un meccanismo che funziona bene per cariche monocratiche, per cui si accompagnano bene ai collegi uninominali. L’Italicum non prevede collegi uninominali, ma potrebbero facilmente essere usate per nominare i capilista in ciascun collegio. Sono molto diffidente verso l’imposizione per legge delle primarie, preferirei certamente di più vederle emergere come scelta volontaria delle attuali forze politiche. Al momento questo è avvenuto solo nel centrosinistra, ma quando Berlusconi uscirà di scena forse qualche spazio a destra si può aprire.

@antonluca_cuoco