Complessa pagina diplomatica con la Libia per i pescatori sequestrati

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In foto Omar Abdelsalam

Un ricatto prevedibile e quasi annunciato. Adesso il sequestro dei pescatori italiani al largo della Libia diventa una storia di ricatti e inganni, che riguarderebbe 4 detenuti nelle carceri europee che la Libia vorrebbe scambiare e le diplomazie tornano in subbuglio con l’Ambasciatore libico in Italia Omar Abdelsalam che è stato tartassato di telefonate e interrogazioni anche da altre sedi diplomatiche. Un gruppo di 18 pescatori siciliani, fermato il primo settembre dai militari del generale libico, Khalifa Haftar, a circa 35 miglia da Bengasi, è attualmente bloccato in Libia. La Farnesina sta monitorando la situazione e trattando il rilascio dei cittadini italiani, che al momento si trovano in una struttura del Paese nordafricano, senza possibilità di uscire liberamente o contattare i propri familiari.
A detta della stampa, si tratterebbe di un vero e proprio sequestro, operato dalle Forze Navali dell’Esercito Nazionale Libico (LNA), sotto il comando del generale Haftar. Oltre ai 18 pescatori, anche i loro due motopesca, “Antartide” e “Medinea”, attivi nella zona siciliana di Mazara del Vallo, sono stati bloccati durante l’operazione della Marina libica, facente capo al governo di Tobruk. Le imbarcazioni si trovano al momento ormeggiate presso il porto di Bengasi, capitale della Cirenaica. Ai marinai siciliani è stata imputata la presenza dei loro pescherecci all’interno delle 72 miglia che la Libia rivendica unilateralmente come proprie acque nazionali. La pretesa è stata avanzata in virtù di una disposizione contenuta nella Convenzione di Montego Bay, secondo la quale un Paese è autorizzato ad estendere la propria Zona economica esclusiva (Zee) fino a un massimo di 200 miglia nautiche dalla linea di base. La Marina di Tobruk ha dichiarato che “non è la prima volta che barche di questo tipo violano le acque libiche”. “Le nostre imbarcazioni pattugliano il mare nazionale per proteggerlo dai ladri e da chiunque cerchi di minare la nostra sovranità e rubare la nostra ricchezza marina”, hanno avvertito le Forze Navali libiche, sottolineando che i militari di Haftar si opporranno a chiunque cerchi di avvicinarsi alle acque regionali del paese nordafricano “in questi tempi difficili”. Nel frattempo, i familiari dei pescatori di Mazara del Vallo chiedono la loro immediata liberazione, specificando che non volevano rubare ma che erano entrati nell’area “solo per lavorare”. Molti dei parenti si sono detti pronti a partire per Roma e a fare pressioni sulla Farnesina, insieme ad alcuni membri della sezione regionale di Agripesca, “perché non ci si può dimenticare di cittadini italiani che si trovano bloccati in un Paese in guerra”. Secondo alcuni organi di stampa, i pescatori siciliani sarebbero finiti nel mezzo di una trattativa tra il governo italiano e quello di Tobruk che rischia di trasformarsi in un controverso “scambio di prigionieri”. “La Marina legata all’esercito del generale Haftar, che controlla la zona di Bengasi, ha avuto ordine dal comando generale di non rilasciare i pescatori italiani fino a quando 4 calciatori libici, imprigionati in Italia, non saranno liberati”, si legge sull’agenzia di stampa italiana Ansa. Su questi 4 detenuti, tuttavia, pende una condanna a 30 anni di carcere per traffico di migranti. Secondo la corte d’Appello del Tribunale di Catania, che ha emesso la sentenza, gli atleti libici erano scafisti e carcerieri coinvolti nella cosiddetta “Strage di Ferragosto”, che nel 2015 aveva portato alla morte di 49 migranti partiti su un barcone dalle coste del Paese nordafricano. Anche le famiglie dei 4 libici detenuti in Italia hanno manifestato, davanti alla base navale di Bengasi, chiedendo di non rilasciare i marinai siciliani e i loro motopesca “finché i nostri calciatori non verranno liberati e riportati in Libia”. I condannati sono stati identificati come Alaa Faraj al-Maghribi, del club Ahli Benghazi, Abdel-Rahman Abdel-Monsef e Tariq Jumaa al-Amami, del Tahadi Club, e Mohamed Essid, originario di Tripoli. Tutti sono accusati di “tratta di esseri umani e immigrazione illegale”. La Libia vive in una situazione di grave instabilità dal 15 febbraio 2011, data di inizio della rivoluzione e della guerra civile. Nel mese di ottobre dello stesso anno, il Paese Nord-africano ha poi assistito alla caduta del regime del dittatore Muammar Gheddafi, ma da allora non è mai riuscito a effettuare una transizione democratica e vede tuttora la presenza di due schieramenti. Da un lato vi è il governo di Tripoli, nato con gli accordi di Skhirat del 17 dicembre 2015, e guidato dal premier Fayez al-Sarraj, il quale rappresenta l’unico esecutivo riconosciuto dall’Onu. I suoi principali sostenitori sono la Turchia, l’Italia e il Qatar. Dall’altro lato vi è il governo di Tobruk del generale Khalifa Haftar, appoggiato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Russia e Francia. Anche la Giordania è considerata tra i suoi principali esportatori di armi.