Nei primi anni ’60 l’equilibrio mondiale fu messo a dura prova dalla cosiddetta crisi di Cuba. Senza addentrarsi nei fatti, gli attriti tra le due potenze egemoni dell’epoca, gli Usa e l’Urss, erano arrivati a un livello così alto che quella crisi, seppure generata da eventi importanti, fu spesso paragonata dagli osservatori di tutto il pianeta alla goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Dopo più di mezzo secolo l’umanità intera è di nuovo con il fiato sospeso per quanto accadrà oggi, martedì 2 agosto, dies ille. La signora Nancy Pelosi, speaker della Camera dei Rappresentanti degli Usa, in viaggio di lavoro in Asia, ha deciso estemporaneamente (?) di concedersi un fuori programma a Taiwan. La Cina, che accampa diritti di dominio su quell’isola – ancora una! – vede quel proposito come un dito in un occhio e minaccia di attivare l’esercito per respingere quella persona non gradita. È questa l’espressione usata nel linguaggio diplomatico per giustificare l’espulsione di una o più persone dal proprio territorio. La vicenda è tanto più incresciosa in quanto vede contrapposti il Presidente degli Usa Biden e quello cinese XI. Non ricorrono nemmeno da lontano i presupposti per azzardare un paragone tra la gestione dell’attuale affaire Taiwan con quanto accadde per Cuba: lo spessore dei protagonisti attuali rispetto a quello dei loro predecessori di allora, Kennedy e Kruscev,è simile al confronto tra quello di un foglio di carta con uno di cartone. La pallina sta girando all’ interno della roulette e non si può fare altro che attendere che essa si fermi. Intanto, con tutta la prudenza che la situazione richiede, non si può fare altro che prendere atto che la politica internazionale stia andando sempre più a ruota libera. Delle due una: che cosa ha rappresentato il colloquio in teleconferenza di qualche giorno fa tra Biden e XI, un tentativo di disgelo dei rapporti tra i due paesi che rappresentano, o un misurarsi a distanza, come fanno alcune specie animali, prima di affrontarsi?
Intanto l’attenzione generale viene distolta dagli altri problemi che, in ordine sparso, stanno assillando il mondo, solo per citarne alcuni le continue trasformazioni del virus che sembrano non volersi esaurire, lo sconvolgimento climatico che da l’idea di essere arrivato a uno stato più che avanzato, se non di non ritorno e altre tribolazioni del genere. Per gli italiani é doveroso lasciar spazio all’ attività mentale perchè possa dedicarsi ai problemi del Paese. Per fare da introduzione al commento di quanto sta accadendo a Roma in vista delle prossime elezioni, da più parti viene chiamato in causa Il Gattopardo, il celebre romanzo di Tomasi di Lampedusa. In poche parole, la considerazione del Principe Tancredi sui mutamenti epocali della fine dell’altro secolo, viene sintetizzata in “tutto cambia perché possa restare uguale”, è piu volte tirata in ballo a commento di quanto sta facendo il mondo della politica attualmente. La confusione che si è ingenerata da subito sta allontanando sempre piu l’ elettorato da una presa di coscienza critica di quei problemi. Essi somigliano sempre più a bombe a orologeria, per le quali il tempo dell’ innesco si avvicina a grandi passi. Verrebbe a tal punto la pena di attingere ancora una volta al romanzo di Tomasi di Lampedusa, questa volta però in relazione a quanto afferma lo stesso Principe Don Fabrizio: “noi fummo i gattopardi e i leoni, quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalli e le iene”. Per amore del vero, in tale richiamo non deve essere cercata nessuna indicazione personale o di gruppo con i personaggi attuali. È l’Intero contesto, non solo quello italiano, che si propone come l’ immagine contenuta nella commedia di Plauto Miles Gloriosus: commentata nella lingua dei campi, vale a dire che, al momento, le spade restano appese e i foderi combattono, o almeno fanno finta di farlo. Con l’augurio che gli italiani, nei pochi giorni che mancano fino all’apertura dei seggi elettorali, aprano gli occhi su quanto è stato fatto dall’esecutivo dimissionario e le chimere promesse da improbabili demiurghi. O ciarlatani, come quelli presenti nei film western della prim’ora, che imbonivano gli abitanti dei villaggi proponendo loro un unguento valido a contrastare ogni tipo di male?
Probabilmente un comportamento di difesa, seppur generico, contro chi vorrebbe far vedere “la luna nel pozzo”, pratica esoterica in cui le più esperte erano le streghe sannite, potrebbe essere nmisurare le promesse elettorali con un criterio antico ma sempre valido. Si tratta dell’ uso del buon senso, che da sempre avverte che, tra il dire e il fare, c’é di mezzo il mare.Tanto più che, proprio in questi giorni, molti connazionali sono presso uno degli stessi e possono quindi mettere a fuoco quanto ampio sia lo spazio che corre tra fare e dire di voler fare.