Cosa farà il Governo Meloni su smart working e reddito di cittadinanza. Parla Raffaele Tovino (Enbiform)

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in foto Raffaele Tovino

di Andrea Spagnuolo

Il Governo Meloni è ai blocchi di partenza. Quale sarà dall’orientamento del nuovo governo in materia di organizzazione dei pubblici uffici? Il neo ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo ha dichiarato in una delle sue prime interviste: “Lo smart working può funzionare”, perché – ha ricordato – la pandemia ha fatto crescere da 500mila a 5 milioni il numero le persone che quotidianamente sperimentano forme di lavoro agile. “Il tema è cruciale – afferma Raffaele Tovino, fondatore e direttore generale dell’ente bilaterale Enbiform – perché per il modello di Pubblica Amministrazione che si intende portare avanti passa buona parte della credibilità di un esecutivo”.

Dottor Tovino, quando si pensa a sveltire la PA bene o male di parla di smart working. Non è così?
Già. Ma affinché possa funzionare, lo smart working presuppone il passaggio dalla stantia logica degli adempimenti e del controllo a quella, decisamente più moderna, dei risultati e della responsabilità.

Ci spieghi meglio. Cosa pensa dello strumento del lavoro a distanza?
Siamo onesti. Soprattutto nella prima fase della pandemia, molti dipendenti della Pubblica Amministrazione sono stati spesso e volentieri irreperibili. E questo non per indolenza o difetto di buona volontà, ma perché gli enti pubblici, al pari di molte aziende private, non erano preparate a una forma di lavoro nuova come lo smart working. 

Molti dirigenti pubblici e manager privati hanno maturato una forma di sospetto nei confronti del lavoro agile che spesso è sfociata nell’aperta idiosincrasia, non è così?
Il caso più eclatante è stato quello di Elon Musk, patron di Tesla, che non ha esitato a minacciare il licenziamento dei dipendenti intenzionati a lavorare in smart working. Tutti quelli che intendono lavorare da remoto, ha detto Musk, devono essere in ufficio per “un minimo di 40 ore a settimana, oppure devono lasciare Tesla”.

Eppure il lavoro agile ha spinto molte pubbliche amministrazioni e aziende private a sperimentare nuovi modelli organizzativi.
Sì, e questi che costituiscono un patrimonio da alimentare e valorizzare. 

In che modo bisogna farlo?
È presto detto. Primo: bisogna garantire agli enti pubblici dotazioni tecnologiche sicure, affidabili, attraverso i quali il personale possa agevolmente svolgere le proprie mansioni e, parallelamente, i cittadini possano interagire con l’amministrazione senza eccessive difficoltà. 

E passando al settore privato?
E’ lecito ipotizzare misure che agevolino le aziende nel procurarsi queste indispensabili strumentazioni tecnologiche. Ciò che deve cambiare, tuttavia, è l’approccio alla gestione del lavoro. Per far sì che lo smart working funzioni occorre che un’intera unità operativa condivida una missione e sappia declinarla in obiettivi e che proprio sulla base del conseguimento di questi obiettivi siano valutati dipendenti e collaboratori. 

Di recente lei ha lanciato, come ente bilaterale, una proposta al mondo istituzionale, per salvare il Reddito di cittadinanza migliorandolo. In che modo?
E’ un argomento un po’ stressato, al centro delle polemiche fin da quando è stato istituito. Tanto più nel corso della recente campagna elettorale. Nella maggioranza che sostiene il governo Meloni prevale l’intenzione di abolirlo. Ecco perché abbiamo lanciato una proposta per utilizzarlo al meglio ricorrendo al supporto dell’informatica e del web.

In cosa consiste?
Una piattaforma web e una applicazione dedicata che puntano a semplificare al massimo il rapporto tra domanda e offerta di prestazioni che possono rendere coloro che ricevono il sostegno. Tutti hanno presente Uber. E’ un’app che mette in contatto coloro che guidano ed hanno una macchina con chi ha bisogno di un passaggio in auto. Tutti conoscono Airbnb, il sistema che mette in connessione chi ha immobili da fittare temporaneamente e i turisti. 

Sì sono due esempi di economia della collaborazione o cooperation economy…
Immaginiamo per un momento di allestire una piattaforma web e di realizzare una app che mette in contatto diretto, saltando ogni intermediazione burocratica, chi ha bisogno di prestazioni di lavoro, imprese o famiglie che siano, con chi gode della misura e che non vuole passare per parassita o profittatore, ma è pronto a darsi da fare. 

E ogni cellulare può essere un dispositivo per interagire con il sistema. Sarebbe un ottimo modo per facilitare la vita di imprese e famiglie, no?
Sì, favorendo in automatico quell’avviamento al lavoro dei percettori di reddito che i Navigator non sono stati in grado di suscitare. La figura del Navigator nasce con la funzione di supportare i centri per l’impiego nella individuazione di un nuovo lavoro per beneficiari di Rdc. In realtà questo profilo professionale si è impaludato nel lago opaco della burocrazia. 

Fuor di metafora, si riferisce ai Centri per l’impiego?
Che alla verifica dei fatti non sono in grado di assicurare l’accompagnamento al lavoro. Ecco perché occorre una piattaforma web e una applicazione ad hoc, sono strumenti automatici e disintermediati di accompagnamento al lavoro, alla portata di chiunque. Ma bisognerebbe smettere di fare del Rdc un cavallo di battaglia ideologico, in negativo. 

Diciamo la verità, il provvedimento non ha mai goduto di buona stampa
La mia proposta, come dicevo, è allestire una piattaforma sulla quale i percettori di reddito di cittadinanza potrebbero registrarsi, indicando le proprie competenze e disponibilità. Non di meno potrebbero farlo le aziende, chiamate a indicare le loro esigenze in termini di personale, e le stesse famiglie, invitate a indicare di quali servizi hanno bisogno. 

E a chi andrebbe attribuito il compito di gestire la piattaforma?
Escluderei i privati, dal momento che il reddito di cittadinanza è alimentato con fondi pubblici. E anche la mano pubblica, visto il pasticcio che lo Stato ha fatto con i navigator e i centri per l’impiego. Meglio a mio parere potrebbero fare gli enti bilaterali, organismi di intermediazione in cui sono pariteticamente rappresentate le associazioni datoriali e le sigle sindacali. Siamo stati indotti ad affrontare la pandemia con un’app. Non vedo perché non si possa farlo con il Reddito di cittadinanza.