Così il Paese rischia di perdere un’occasione storica e probabilmente irripetibile

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in foto Giorgia Meloni

Giovedì è stato il primo giorno di dicembre e quindi l’inizio dell’ultimo mese dell’anno. Non è superfluo richiamare l’attenzione di chi legge sulla circostanza che, per antica tradizione, gli italiani, come altre popolazioni con radici cristiane, dalla metà dello stesso mese comincino a sentire nell’aria gli odori e i profumi, soprattutto quelli gastronomici, tipici delle festività natalizie. Anche i parlamentari dovrebbero avere un cuore e un’ anima per cui, nonostante le dichiarazioni stakhanoviste della Signora Premier, “lavoreremo anche a Natale, se necessario” e altre dello stesso genere, probabilmente resteranno frasi di effetto o poco più. La premessa appena riportata può essere espressa in maniera più autentica con poche parole: la legge di bilancio necessita ancora di molti aggiustamenti, il tempo per farli è ormai prossimo alla fine, ergo non si esclude l’adozione dello strumento dell’esercizio provvisorio. Riportata così, la stessa dà ancor più la sensazione che la Premier Meloni corre il rischio di finire con la testa nel sacco. Interrogandosi tra loro, i ferrovieri del primo turno hanno efficacemente ristretto in poche parole la descrizione di quello strumento contabile: “se è provvisorio, non può essere qualcosa di risolutivo, almeno di parte, dei problemi italiani”. Messa in pulito, l’ espressione non si allontana molto dalla realtà. Previsto dalla Costituzione come una estrema ratio, l’ adozione di quella misura sarebbe potuta essere accettata, non per tanto giustificata, ove si fossero verificati impedimenti non prevedibili, non rientrando in essi il terremoto di Ischia perché risale solo a qualche giorno fa. La questione sembra prendere origine da più lontano, all’ incirca dalla metà della scorsa primavera. Fu allora che l’opposizione cominciò a sollevare obiezioni, molte del tutto fuori luogo, al governo Draghi sulla caratura del PNRR. Non erano in grado diversi suoi componenti di, proporre alternative, anche perché tenuti in bilico da timore reverenziale nei confronti del Premier e dei suoi Tecnici, la maiuscola non è un refuso. Il loro è stato un comportamento farisaico e devono essere contenti se non si addebita loro, con maggior veemenza, altro. Ora quell’eterogenea brigata di governo si trova a affrontare la messa a punto -è un eufemismo- di quel documento contabile e politico, complicato da circostanze nuove ma non tanto. La stessa Premier ricorda da vicino il personaggio di Topolino apprendista stregone nel film Fantasia: la situazione probabilmente le è scappata di mano e ora deve necessariamente porre un argine a questo stato dei fatti. Per poter intervenire, alla motivazione che il Primo Ministro aveva addotto all’ insediamento del Governo – che i tempi per l’approvazione del bilancio erano stretti- la stessa aggiunge ufficialmente che, anche a costo di lavorare durante le prossime festività, la scadenza di fine anno deve essere rispettata comunque. Non la pensano così i suoi ministri competenti per la materia che fanno sapere, anche se in ordine sparso, quindi come se fosse una soluzione al problema trovata da loro e null’altro, che la Eu deve concedere senza indugio maggior termine, il 15 di gennaio, per la fatidica presentazione. Nel villaggio si sentono spesso gli anziani affermare con convinzione che ” l’ottimo è nemico del buono”, quindi, come consiglio di ampia portata, invitano a non strafare. Prendono così corpo, entrambe con buona attendibilità, due considerazioni. La prima, che se il governo intende fare una revisione, per così dire “in corso d’opera”, ben venga, non fosse per altro che per adeguare i capitoli di spesa all’erosione dell’inflazione. Altro intervento dell’esecutivo potrebbe essere, voglia il cielo che non lo sarà, la riformulazione dell’intera configurazione di quel piano straordinario. In tal caso, il rischio per il Paese sarebbe quello di perdere un’ occasione storica e probabilmente irripetibile. Più precisamente quella di poter impostare quanto occorre per il riassetto di tante opere necessarie a supportare una corretta evoluzione dell’apparato produttivo e delle sue strutture ausiliarie. Sarebbe un errore imperdonabile che porterebbe gli autori a una inevitabile damnatio memoriae. Situazioni del genere vengono descritte aneddoticamente dai Coltivatori Diretti, assimilandole alla disavventura che sarebbe toccata a un loro collega, non si sa se realmente esistito. Poco avvezzo a misurare le sue capacitá, quest’ultimo, tentando di arricchirsi, finì con l’indebitarsi. Ricordando così il personaggio interpretato da Antonio Petito, famoso attore napoletano d’ antan, Filippo e il suo “panaro” (cesto). Entrambi andarono persi dal loro padrone troppo esigente: non si fecero mai più trovare e il danno fu tutto del padrone. Stretta la foglia, larga la via….