Così smart working e Dad accelerano la rivoluzione dei processi produttivi e formativi

Lo sfondo di una raffica di fasi problematiche  sanitarie ed economico-demografiche del Covid 19 e delle diverse facce che stanno rappresentando i problemi apposti proprio nel quadro dei periodi alternati di lock-down stagliano due categorie di strumentazioni  e del relativo ricorso agli ammortizzatori conseguenziali: lo smart working e la Dad.
Lo smart working, in detto periodo di crisi, ha assicurato, per quanto possibile, attività produttive non dai  luoghi di lavoro,  e la Dad concentratasi specialmente nell’ultimo paio di anni, ha assicurato, per quanto possibile, la ricezione di attività di processi educativi (prima formazione, trasferimenti di competenze, di esperienze lavorative, facilitare formazione permanente e ricorrente) procurando  un vero e proprio “valore aggiunto” consistente nella diffusione di una nuova mentalità invasiva delle procedure Dad in tutti i campi del sapere e aggiornando la prima  didattica blended, presente sin  dagli anni’80, come posso testimoniare, per esperienza personale, nell’Ateneo, in cui ho insegnato dove gli studenti, sin da allora, potevano fruire di un vero e proprio corso di laurea in informatica, della facoltà di Scienze (allora marittime) – dell’Università degli studi di Napoli Parthenope – a quello tradizionali delle lezioni frontali, ambedue fruttuosamente coordinati nella fase iniziale  dall’antesignano collega, prof. Giulio Giunta.
Non si poteva forse immaginare che
Dad e Smart Working fossero prodomici, ad iniziare dal vocabolario di un vero e proprio flusso di parole, e dalla letteratura  di vere e proprie  idee per una nuova “riorganizzazione”, delle unità produttive da una parte e formative dall’altra, fosse al centro, quindi, di un segnale evolutivo sicuro per l‘intera società.   
Un all’inizio probabile, ma in pochissimo tempo, diventato sicuro movimento che tanto più forte a condizione di realizzare la difesa della produttività, valida per qualunque sistema economico alla base, si impone di assicurare, esso stesso la necessaria tutela  del capitale umano che va  stimato statisticamente  e rilevato contabilmente per la sua complessiva  quantificazione. 

In alcuni Paesi la settimana lavorativa, a decorso sempre più breve nel tempo di quello attuale, è una realtà   più concreta che  sposandosi, come si è detto,  con un  miglioramento della produttività,  favorisce un’inversione dei valori insiti in ognuno di noi sistemando, in modo nuovo, la scala gerarchica   degli aspetti principali afferenti alla vita personale

La  rivoluzione Dad e Smart-working consente di cimentarsi con i pilastri di quelle competenze che consentono di dedicare anche per tre giorni settimanali, ad un lungo week end, al proprio relax  ed adempiendo a ciò che non si riesce a  portare a termine nei giorni lavorativi. L’auspicio atteso o la lotta da realizzare è  che la remunerazione della forza lavoro  non sia intaccata e che venga assicurata a parità di produttività. Sarebbe limitativo pensare di attuare tutto questo prendendo a prestito e traslare  mutatis mutandis  l’immagine kuznetsiana  della “parità di tecnologia dei processi produttivi” associato allo slogan “lavorare meno lavorare tutti”  noto anche per essere  stato ripreso 8 anni  fa  da Claudio Gnesutta. che affrontò la portata politica su il Manifesto.  

Si aprono a questo punto vari percorsi di investigazione scientifica per affrontare il problema, non tutti forieri di  risultati positivi per spiegare soddisfacentemente la riduzione dell’orario di lavoro a favore di tutto un collettivo di lavoratori.
  1. Affinché si raggiunga la massa critica, e non solo logico- concettuale,  da considerare, però,  specificamente per l’impostazione  del “lavorare meno lavorare tutti”, grazie alla sola Dad e Smart-working si deve convenire di rinforzare: 
  • lo zoccolo di queste specifiche professionalità, per essere obtorto collo, già presenti nel “sistema” (periodo Covid 19 e posto Covid – fino ad oggi -), ormai già configurate  e generate dalle crisi, con 
  • un’altra significativa consistente fascia di nuove forze  professionali Dad e Smart-working entranti nel mercato del lavoro che è aggiuntiva per l’appunto a quelle “esistenti” nel periodo pre-covid e post-covid non appartenenti allo zoccolo  di cui sopra 
 E’ evidente che queste competenze, della tipologia  Dad e Smart-working,    destinate ai “giovani e non” che oggi iniziano a lavorare, devono essere conseguiti, per entrare in gioco,  con tempi di formazione rapidi, con una Transizione Scuola lavoro (TSL) da record, proprio perché vi possa essere l’ appropriata e tempestiva attribuzione degli incrementi del capitale umano correlato.  
Dai primi studi sulla settimana corta è emerso un aumento della produttività nella misura pari al 40%, una cifra non indifferente, come afferma Giorgia Bonomoneta –  18 08 2022 – nell’articolo  Settimana lavorativa corta: come tutelare il capitale umano in favore della produttività.  
 
2 – Affinché si raggiunga per l’impostazione  del “lavorare meno lavorare tutti grazie alla Dad ed allo Smart-working”, così come negli anni in cui  Dad e  Smart-working non c’erano
A questo punto si inserisce una sintesi di Riccardo Sorrentino de il Sole 24 Ore di un’ interessante ed esaustiva ricerca che chiarisce molto semplicemente che si può lavorare meno e lavorare tutti pur se tagliando pensioni e sussidi  (qui)
  • Riccardo Sorrentino su il Sole 24 ore, del primo settembre 2022, osserva che “definire una politica per la massima occupazione” richiede rigore, e un’analisi attenta di quanto sta effettivamente accadendo e di cosa potrebbe fare preservando gli altri obiettivi di politica economica”.
  • A questo scopo, per il recente simposio della Federal reserve a Jackson Hole, è stata dedicata una intera sessione, con una conclusione importante: negli ultimi venti anni le economie avanzate hanno vissuto due tendenze: 
  • una porta verso un aumento dell’occupazione, o una riduzione della disoccupazione; l’altra verso la riduzione delle ore lavorate; e – sorpresa! – i due trend sono statisticamente correlati. 
  • Al punto che gli economisti propongono di favorire questo fenomeno. Nel modo giusto, ovviamente.

Nella ricerca sopra sunteggiata da Sorrentino
 – Reassessing Economic Constraints: Maximum Employment or Maximum Hours? (qui) Alexander Bick,   Adam Blandin  e Nicola Fuchs     esaminano i dati di 18 Paesi europei, tra cui l’Italia e degli Stati Uniti dei due decenni precedenti la pandemia con analisi di lungo periodo – sul numero delle ore lavorate (per cittadino e per lavoratore), insieme ai tassi di occupazione.
Una (doppia) correlazione promettenteIl risultato è che in tutti i 19 Paesi (e tra essi l’Italia) si è assistito a un calo delle ore lavorate per lavoratore – in media del 9,2% tra le diverse economie – e un aumento dell’occupazione, in media del 4,9%. Un’analisi statistica accurata mostra che le due tendenze sono correlate – non sembrano frutto del caso: la correlazione è intorno al -0,50 – in due modi: i paesi con più alta occupazione tendono ad avere un numero più basso di ore lavorate per lavoratori; e i paesi con la crescita più veloce dell’occupazione tendono ad avere una diminuzione più rapida delle ore lavorate per addetto”.

L’analisi è semplice ma convincente. In calo le ore lavorate per addetto
I dati mostrano, più nel dettaglio, un calo medio – tra i Paesi – di 3,3 ore lavorate alla settimana, con un massimo di 6 ore in Austria e un minimo di 0,6 ore negli Stati Uniti. (L’Italia è appena al di sopra della media). Per gli uomini la riduzione media è di 3,7 ore, per le donne di 2,3 ore (ma in Usa e nel Regno Unito il tempo di lavoro per le donne è aumentata).Il fenomeno ha inoltre interessato tutte le fasce d’età (con qualche eccezione per i più anziani in Usa, Uk e Polonia). Nella maggioranza dei Paesi è aumentato il ricorso al part time, e in tutti i paesi – tranne Francia e Austria – si è ridotto quello ai tempi pieni.
La sintesi della ricerca di Sorrentino dedica spazio all’ aumento dell’occupazione delle donne… …e quella degli anziani. Affronta il problema della demografia isolando gli effetti dell’invecchiamento della popolazione e hanno trovato che l’occupazione aumenta comunque.

Sorrentino de il Sole 24 Ore  che sintetizza Alexander Bick,   Adam Blandin  e Nicola Fuchs     
Il modello costruito dai tre economisti tiene conto piuttosto di due possibili cause: i costi fissi del lavoro e la disutilità – la “fatica” – del lavoro. Abbassando i costi fissi, si aumenta l’occupazione anche se i nuovi lavoratori assunti considerano il lavoro meno utile (la disutilità è più alta) e quindi lavorano di meno.

La riduzione dei costi fissi del lavoro
Oltre alla correlazione gli studiosi hanno quindi anche individuato due fenomeni che corroborano le loro conclusioni: il fenomeno è particolarmente evidente per due categorie che considerano il lavoro un problema (per le quali il lavoro ha una più alta disutilità): le donne con figli e gli anziani; e hanno individuato politiche, condizioni del lavoro e tendenze sociali che hanno abbassato i costi fissi del lavoro.
Negli ultimi mesi, in particolare, l’aumento dello smart working e della maggiore flessibilità degli orari di lavoro (per esempio nel gig work) hanno compensato l’aumento dei costi fissi del lavoro legati alla pandemia: i maggiori rischi per la salute, e le chiusure di scuole e nidi. Per costo fisso di lavoro si intende soprattutto il costo per portare e tenere i figli a scuola (e orari flessibili possono ridurre questi oneri), ma anche il costo opportunità: quello che una famiglia perde, in termini di utilità non solo monetaria, quando un componente in più inizia a lavorare.
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Le differenze con gli anni 70
È evidente quindi la differenza con il vecchio slogan, che prevedeva una riduzione politica, autoritativa dell’orario di lavoro nella speranza di nuove assunzioni. Una politica che non teneva concretamente conto, in realtà, né dei costi delle nuove assunzioni (in relazione alla produttività), né della sostenibilità.