Covid, “il virus è diventato più buono”: studio del presidente dei virologi

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(Adnkronos) – “Il coronavirus Sars-CoV-2 è mutato diventando più buono”. Non è un’ipotesi, ma una certezza di cui fornisce la prova Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv), in uno studio condotto insieme al suo team a Brescia, “appena inviato per la pubblicazione a un’importante rivista scientifica internazionale”, annuncia l’esperto all’Adnkronos Salute. 

Il lavoro, spiega, dimostra che le ‘figlie’ della variante Omicron – “tutte quante da BA.2 in poi”, comprese la BA.4 e la BA.5 oggi dominante – sotto la forte pressione dell’immunità prodotta dai vaccini e dalla guarigione hanno sviluppato una mutazione fortunata per l’uomo: “Sono praticamente incapaci di infettare gli endoteli”, cioè i vasi sanguigni e linfatici, “e quindi di causare le disfunzioni ritenute alla base di sintomi gravi a livello polmonare, fenomeni trombotici e, probabilmente, anche delle manifestazioni cliniche associati al Long Covid”.  

“E’ una scoperta tutta italiana e importantissima, perché fa ben sperare anche per l’evoluzione futura del virus”, sottolinea l’ordinario di microbiologia e microbiologia clinica all’università di Brescia, direttore del Laboratorio di microbiologia dell’Asst Spedali Civili. Tutto comincia con l’identificazione, da parte del gruppo di Caruso, di “una seconda porta d’ingresso che Sars-CoV-2 può utilizzare per aggredire l’organismo umano: le integrine, proteine espresse anche da cellule, come le endoteliali, che possono non presentare il recettore Ace2” considerato il portone principale usato dal virus. “Grazie a questa seconda chiave – precisa lo specialista – la proteina Spike di Sars-CoV-2 poteva agganciare gli endoteli, provocandone un’attivazione aberrante e una disfunzione ritenuta responsabile delle forme più pesanti di Covid-19, che abbiamo conosciuto nelle prime fasi della pandemia: polmoniti, trombosi, angiogenesi e produzione di molecole infiammatorie. Non solo: si pensa che anche il Long Covid sia associato a una disfunzione endoteliale a carico di vari organi, tra i quali il cervello”.  

Adesso “la nuova scoperta: analizzando gli isolati virali di cui disponiamo – illustra Caruso – abbiamo osservato che le sottovarianti Omicron, da BA.2 in poi, presentano sulla proteina Spike una mutazione che si chiama D405N e modifica la regione virale che si lega alle integrine. Questa porzione, identificata con la sigla RGD, cambia in RGN e non è più in grado di agganciare e infettare gli endoteli umani”. In altre parole, le ultime ‘versioni’ di Sars-CoV-2 hanno perso la chiave che permetteva al virus di causare i sintomi più gravi di Covid-19 e, almeno in parte, le sequele della sindrome Long.  

“Si parla di queste varianti Omicron, fin dall’inizio della loro comparsa, come di mutanti più attenuati rispetto ai precedenti – rimarca il numero uno della Siv-Isv – Si è visto infatti che tendono a colpire le prime vie aeree, quelle superiori, con sintomatologie meno gravi, senza scendere direttamente ai polmoni come in precedenza accadeva”. Nel provare a comprendere i meccanismi attraverso cui viene a prodursi questa minore ‘cattiveria’ di Sars-CoV-2, continua Caruso, “è stato indicato un cambio di bersaglio cellulare: il target del virus, dai polmoni, sono diventate le alte vie respiratorie”. Lo studio bresciano aggiunge ora un elemento in più: “Da Omicron 2 in poi, la maggiore mitezza del patogeno di Covid-19 può essere ricondotta anche all’incapacità biologica delle nuove sottovarianti virali di infettare gli endoteli”.  

“E’ una cosa importantissima – insiste l’esperto – perché dimostra che, per sfuggire alla pressione immunitaria, Sars-CoV-2 sta perdendo dei pezzi chiave” e con loro “sta perdendo patogenicità”. Facendosi sì via via più contagioso, come si è visto con Omicron 5 molto più trasmissibile delle ‘sorelle’ maggiori, tuttavia riducendo il suo potenziale di dare origine alle forme più severe di malattia. “Questa trasformazione – ragiona lo specialista – è in linea con la normale evoluzione di ogni virus che, per mantenere la propria ‘fitness’, ovvero la capacità di replicare in un organismo ormai potentemente immune, è costretto a cambiare. Adesso che a livello globale c’è una forza immunitaria” che lo incalza e ne mette in pericolo la sopravvivenza, “nel tentativo di convivere con l’ospite e di assicurarsi la possibilità di continuare a diffondersi nel tempo, Sars-CoV-2 deve necessariamente mutare. Sempre in peggio per lui, sempre in meglio per noi”.  

Però attenzione, tiene a puntualizzare Caruso: “Ciò non toglie che ogni virus, anche se si attenua, quando colpisce un organismo immunodeficitario rimane pericoloso. Non bisogna pensare ‘siamo salvi'”: se il coronavirus pandemico manterrà questo trend evolutivo, “gran parte dei sintomi che causa saranno banali, gran parte dei contagiati avrà manifestazioni lievi, ma purtroppo i fragili continueranno a rischiare. Esattamente come succede con tutti gli altri virus”.