Crisi: Treu (Cnel), cresce il lavoro povero in Italia

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Roma, 6 dic. (Labitalia) – Cresce il lavoro povero, in Italia, negli ultimi anni: “Oltre 3 milioni di lavoratori nel 2015, ma si arriva a 5,2 milioni se si considera il reddito annuale invece di quello mensile, e inoltre 2,2 milioni di famiglie povere nonostante almeno un componente sia occupato”, come evidenzia Tiziano Treu, presidente del Cnel, nella relazione introduttiva del ‘Rapporto sul mercato del lavoro e sulla contrattazione collettiva 2018’ del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, presentato stamattina, a Roma, nella sede di Villa Lubin.

“La crescente gravità e diffusione della povertà fra i lavoratori e fra le loro famiglie – spiega – sono da ricondursi anche qui a vari fattori: non solo alla crisi economica, ma anche al minor numero di ore lavorate, alla precarietà dell’occupazione, all’impiego di manodopera poco qualificata specie nelle piccole imprese e, d’altra parte, alle scelte di aziende dotate di forte potere di mercato che decidono di scaricare il contenimento dei costi soprattutto sui salari dei lavoratori. Inoltre, il lavoro povero si concentra maggiormente in alcuni settori caratterizzati da minore valore aggiunto, minore produttività e quindi livelli retributivi mediamente più bassi”.

“Il fenomeno – precisa Treu – riflette più in generale la asimmetria del progresso tecnico, che ha favorito la domanda di lavoratori qualificati. Anche se lavoro povero e povertà non sono lo stesso fenomeno, perché possono intervenire altri fattori, in primis il ruolo della famiglia, il legame fra i due fenomeni è evidente. Il lavoro povero impatta non solo sulla persona ma anche sulle famiglie mettendole a rischio di povertà. Infatti, un numero crescente di queste sono esposte a questo rischio quando l’occupazione è concentrata su un solo componente e il suo salario è basso”.

E, avverte ancora il presidente del Cnel, “data la gravità di questo fenomeno, che in Italia e più grave che nei paesi europei più vicini, il contrasto alla povertà non può non essere una priorità delle nostre politiche pubbliche e anche dell’azione delle parti sociali”. “Tale compito – sostiene – spetta in primis alla contrattazione collettiva nazionale che, come rilevano anche gli osservatori internazionali, è decisiva per sostenere i redditi dei lavoratori e per ridurre le diseguaglianze”.

Il Cnel, nel rapporto, spiega che uno degli strumenti di contrasto al lavoro povero, adottato in quasi tutti i paesi europei, sia il salario minimo legale. “Il salario minimo – ammette Treu – non è certo l’unica misura che può contrastare il lavoro povero, ma potrebbe garantire, in virtù di una maggiore forza prescrittiva, una protezione più efficace nei confronti dei bassi salari, riducendo la discrezionalità e gli abusi nella determinazione dei livelli retributivi”.

“Servono in ogni caso misure ulteriori. Come suggerisce la strategia europea e come il Cnel ha anche di recente raccomandato al Parlamento e al governo, è necessaria una significativa riduzione stabile del cuneo fiscale sui salari, con particolare riguardo a quelli dei lavoratori con basso salario; e tale misura è da combinare con politiche dirette a favorire la partecipazione dei lavoratori a buone occasioni di lavoro e ad accrescere l’intensità occupazionale”, sottolinea, aggiungendo che “occorrono anche qui misure operanti sui fattori di debolezza strutturale del nostro mercato del lavoro, dirette da una parte a migliorare i livelli di formazione dei lavoratori e dalla parte della domanda ad aumentare la produttività dell’impresa e dei lavori meno qualificati”.