Da Crohn a colite ulcerosa, 200mila italiani con malattie intestino

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Roma, 16 mag. (AdnKronos Salute) – Le malattie infiammatorie croniche intestinali, meglio conosciute con l’acronimo italiano ‘Mici’ o quello anglosassone Ibd (Inflammatory Bowel Diseases), sono patologie croniche infiammatorie caratterizzate dall’alternarsi di fasi di riacutizzazione e di remissione e si distinguono in due tipi principali: la malattia di Crohn e colite ulcerosa. Le Mici sono diffuse in tutto il mondo, con variazioni considerevoli sia all’interno che tra le regioni geografiche, sia in termini di incidenza che di prevalenza. I maggiori tassi di incidenza sono più comuni nei paesi industrializzati, sebbene più recentemente si stia osservando un incremento nei paesi emergenti. Si stima che in Usa vi siano circa 3 milioni di persone affette da Mici, 3 milioni in Europa, e tra le 150.000 e le 200.000 in Italia.

I meccanismi alla base dello sviluppo di queste patologie non sono ancora completamente noti ma si pensa che il maggior ruolo sia attribuibile, in soggetti suscettibili dal punto di vista genetico, a una incrementata attività della risposta immunitaria nei confronti di microorganismi presenti a livello dell’intestino; a ciò si aggiunge il ruolo dei fattori ambientali. Si tratta di patologie tipiche dell’età giovanile; difatti, sebbene possano presentarsi a qualsiasi età, il picco di esordio è generalmente compreso nella fascia tra i 15 e i 35 anni, con un incremento soprattutto negli adolescenti. Alcuni studi riportano, inoltre, un secondo picco di incidenza, tipicamente tra i 50 e i 70 anni.

I sintomi predominanti delle Mici sono: diarrea, dolori addominali, presenza di sangue nelle feci, vomito, astenia e perdita di peso, sintomi che tendono a variare in base al tipo di patologia. La sintomatologia può avere notevoli implicazioni di carattere psicologico e sociale e determinare limitazioni dello stile di vita con conseguente e notevole impatto sulla qualità di vita. La compromissione della qualità di vita dei pazienti si correla in genere con una maggiore attività di malattia ed è associata alla preoccupazione che i pazienti hanno circa la comparsa delle complicanze della malattia stessa.

A tal proposito, la comunità scientifica, come emerso da una recente consensus, concorda sul fatto che il ripristinare una normale qualità di vita rappresenti l’obiettivo fondamentale del trattamento. Ulteriori elementi emersi in studi recenti rilevano come la gran parte dei pazienti vorrebbe un maggiore coinvolgimento nel processo decisionale relativo al trattamento e, inoltre, che le Mici possono essere sottodiagnosticate o che la diagnosi possa essere effettuata in ritardo.

Il trattamento delle Mici si basa sull’utilizzo degli aminosalicilati (spesso utilizzati come prima linea nelle forme lievi-moderate di malattia), i corticosteroidi (che possono essere efficaci nell’indurre la remissione di malattia ma il cui uso è limitato nel lungo termine per la possibile presenza di effetti collaterali e/o fenomeni di dipendenza), gli immunosoppressori (utilizzati nel mantenimento della remissione e come agenti risparmiatori di corticosteroidi). Da circa due decadi, l’introduzione – per le forme moderato-gravi – della terapia con farmaci biologici, i primi rappresentati dagli anti-Tnfα, nei pazienti che hanno fallito o non tollerano le terapie convenzionali, ha modificato il decorso delle Mici mostrandosi efficace nella guarigione della mucosa intestinale, nella riduzione dell’utilizzo di corticosteroidi e dei tassi chirurgici e di ospedalizzazione, portando al passaggio dall’ottenimento della sola remissione clinica al raggiungimento della remissione profonda (clinica ed endoscopica) e mantenuta nel tempo.