Da dove vengono le formiche: robot, solitudine e crisi d’identità nel libro di Antonio Castiello. Non è fantascienza

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di Alessandro Spagnuolo

E’ in libreria “Da dove vengono le formiche” (Capponi editore, euro 16), romanzo d’esordio di Antonio Castiello. Trentacinque anni, originario di Vietri sul Mare, una laurea in Ingegneria del Cinema e Mezzi di Comunicazione, Castiello dà vita a un racconto originale che unisce realismo e fantascienza sociale e che costituisce una sorta di apologo sul nostro tempo con le sue tumultuose, contraddittorie e spesso drammatiche trasformazioni.
Il libro si apre su una periferia anonima, un luogo sospeso e grigio, ed è notte, “una notte enorme e spiacevole” mentre D, il nostro protagonista, percorre in auto la tangenziale verso casa. “Parzialmente responsabile”,  D procede senza fretta… quando, su una piazzola, appare lui, “la curiosa massa metallica brillante con il pollice alzato”: un robot che fa l’autostop. È una scena surreale e insieme perfettamente possibile, perché il mondo in cui si muovono i personaggi è quello di un futuro prossimo, o forse di un presente già in corso, in cui il sistema sanitario è al collasso e il progetto “Respira” affida alle macchine la cura delle fragilità mentali di un’umanità stanca.

Da questo incontro improbabile nasce un viaggio interiore e fisico che attraversa la solitudine, l’angoscia e la ricerca di senso. Il giovane guidatore accoglie nel proprio spazio questo robot che, con la sua logica spietata e insieme ingenua, diventa uno specchio capace di riflettere le crepe dell’animo umano. L’autore usa la fantascienza come pretesto per esplorare l’identità, la paura e il bisogno di ascolto: in un mondo che ha smesso di comunicare, persino una macchina può diventare il simbolo di una possibile empatia.

Castiello riesce a raccontare l’alienazione urbana con uno sguardo asciutto, cinematografico, in cui la periferia assume i tratti di una metafora esistenziale. Le case, le strade, gli spazi vuoti diventano scenografie del disagio, ma anche luoghi dove può ancora germogliare un tentativo di umanità. L’autore non cerca il pathos facile: preferisce la sospensione, il silenzio, i dialoghi scarni che lasciano intuire più di quanto dicano. Il risultato è un romanzo che, pur muovendosi in un registro di immaginazione tecnologica, mantiene sempre un tono intimo e riconoscibile.

Il titolo stesso, “Da dove vengono le formiche”, è una domanda che attraversa tutto il libro. Le formiche rappresentano la collettività, la routine, l’ordine cieco, ma anche la capacità di costruire e resistere. Sono il simbolo di un’umanità che si muove compatta ma non sa più perché, di individui che sopravvivono a sistemi impersonali. Nel percorso del protagonista si legge il tentativo di riscoprire un senso individuale dentro un mondo che spinge verso la standardizzazione e la perdita di identità.

Il romanzo si distingue per la sua capacità di coniugare riflessione e racconto. A tratti la narrazione rallenta, concedendosi momenti più concettuali, ma è proprio in quei passaggi che emergono le domande più forti: che cosa significa essere umani? Cosa resta della coscienza quando il dolore è delegato a un algoritmo? In queste domande Castiello tocca corde universali, con una scrittura che non indulge nella retorica ma accompagna il lettore in un territorio sospeso tra disincanto e speranza.

Pur con qualche lentezza e qualche scelta simbolica che può apparire didascalica, Da dove vengono le formiche è un romanzo coraggioso, che prova a interrogare la realtà attraverso la lente della metafora. Non è una lettura consolatoria: è una storia che lascia un retrogusto inquieto, ma anche la sensazione che il futuro – per quanto incerto – sia ancora uno spazio dove l’uomo può cercare se stesso. Castiello firma così un’opera lucida e necessaria, capace di parlare al presente con l’urgenza di chi sa che le formiche, in fondo, siamo noi.