Da Longobardi primi segnali d’interpretazione. Manca poco

131

La direzione Giulierini, al Mann, ha inaugurato senz’altro l’era delle grandi mostre legate non solo al territorio campano. Dai tesori dell’America latina, alla riapertura della sezione egizia del Museo, la scelta di orientare le esposizioni alle grandi stagioni dell’archeologia di tutto il mondo segna la linea del salto verso l’idea di un museo internazionale. Aprire all’archeologia mondiale evitando di rimanere relegati all’ambito dell’archeologia vesuviana o comunque solo campana, questo lo scopo sbandierato ad ogni occasione dal direttore manager. Onore e gloria al direttore Giulierini. Il messaggio è chiaro e forte. La mostra “Longobardi”, brilla di questa nuova luce. Chiaro e altrettanto forte, l’intento di creare l’esperienza per il pubblico dei più piccoli che alla fine del percorso espositivo trova disegnato per terra una sorta di percorso di gioco dell’oca che fa saltellare i pargoli di casella in casella spronandoli a ricordare quanto visto. Applauso all’intento, anzi agli intenti. Per gli adulti, o quanto meno per gli scolarizzati, il tentativo è più lieve, e comincia da uno schermo posto poco prima dell’ingresso, quando la pazienza del visitatore è messa alla prova da una lunga fila d’attesa. Un video, un filmato con tanti disegni narra la storia dei Longobardi, delle loro conquiste, della diffusione della loro civiltà. Un ottimo modo per introdurre l’argomento e preparare i turisti a tutto ciò che potranno trovare nel percorso espositivo. Se fosse visibile a tutti, però.
La fila ondeggia e si inclina per avvicinarsi allo schermo, che come un televisore casalingo polarizza l’attenzione. Una voce narrante dai toni bassi e coinvolgenti narra in italiano.
Fortunatamente i sottotitoli in lingua inglese aiutano chi ha la fortuna di conoscere la lingua e riesce nella folla a distinguere solo le didascalie. Ingresso faticoso, diciamolo. Sarebbe bastato uno schermo di qualche pollice più grande e posto più in alto per rendere possibile
la visione a tutto il pubblico in attesa. Avete presente la pubblicità nelle stazioni della metropolitana? Non è difficile.
Finalmente nella penombra, illuminati dagli spot i reperti. Un meraviglioso insieme di gioielli, cinture pettini e copricapo. Poi pian piano la mostra prende corpo ma la visita, per la maggioranza, resta una “passeggiata” tra le teche a caccia dell’emozione. Ancora qualche video, alcuni gioielli, le spade. Con questo materiale è più che legittimo pretendere l’esperienza. A tratti la voce di qualche guida illustra alcuni particolari al proprio gruppo di turisti. Alla fine i più piccoli, saltellando a turno sulle caselle del gioco dedicato alla mostra, per lo più smaltiscono le energie accumulate durante il percorso tra le opere, agganciati alle mani di mamma e papà. Come sempre il sentiero per l’inferno è lastricato di buone intenzioni. Il Museo vuole avere un respiro addirittura mondiale. Ottima idea. Le sue opere devono allora essere spiegate in più lingue. Il sottotitolo in inglese non basta meno che mai se riguarda solo i filmati. Se si vuole comunicare la bellezza, l’importanza, l’epoca di un opera ad un pubblico internazionale, alla luce delle specifiche dei flussi turistici si deve pensare di usare almeno quattro lingue per l’illustrazione dell’opera. Il simpatico gioco riservato ai bambini dovrebbe fare riflettere sul modo di coinvolgere gli adulti. Un adulto in un momento di svago, se pur culturale, abbandona quasi tutte le sovrastrutture dovute alla professione, al ceto sociale, alla cultura ecc. Bisogna offrirgli la possibilità di giocare con le informazioni ad un livello più consono ma certamente altrettanto intrigante di quello dei bambini. Le cinture, I gioielli potrebbero essere indossati da manichini così come lo sono I vestiti.
Invece della penombra, una proiezione degli ambienti naturali dove gli antichi guerrieri si muovevano sui loro destrieri potrebbe aiutare il turista-visitatore a proiettare se stesso in quella dimensione. Appositi manichini, nella cui sagoma inserire il proprio volto, potrebbero
permettere ai turisti di farsi immortalare nelle vesti di questo o quel condottiero. Nulla sarebbe tolto al pregio della mostra. Nessun insulto al valore di un popolo. Solo una drastica riduzione del numero di turisti “passeggianti” e la creazione di un esperienza da ricordare per sempre. Siamo sulla buona strada, possiamo farcela.