Dalla convenienza alla convivenza

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Quadro di Paolo Righi

di Ugo Righi

Questa terra è come una delle tante sue bambine bellissime nei vicoli dei suoi paesi, bellissime spesso sotto le croste, i capelli scarmigliati, nei cenci sbrindellati: e già si intravede come,crescendo lei bene, tra anni quel volti potrebbe essere intelligente, nobilmente vivo; ma pure si intravede come in altre condizioni quel volto potrebbe rinchiudersi patito e quasi incattivito
Danilo Dolci

Considerare il successo in termini di processo,e non di episodio, significa ragionare, più che sui risultati, sulle condizioni che li permettono (e possono continuare a permetterli) e quindi spostare il focus da cosa si fa e cosa a come si fa.
Il punto chiave è l’apprendimento,ossia imparare ad imparare comportamenti per e di valore.
Se consideriamo che il mondo si è fatto più piccolo, per l’effetto della globalizzazione, i territori percorribili da ognuno, sono diventati molto più grandi.
Questo amplifica la complessità e aumenta l’incertezza ( oggettiva) che solo l’aumento di sicurezza (soggettiva)può consentirne la gestione.
La sicurezza soggettiva è correlata alla consapevolezza di poter agire con successo nei confronti del mondo e questa dipende dall’aumento delle competenze quindi dell’apprendimento.
La complessità, per essere governata, richiede l’acquisizione ed elaborazione di nuovi paradigmi connessi con la dimensione del valore economico delle diversità e dell’inclusione interculturale.
La diversità è fisiologicamente conflittuale, quindi il tema è che l’inserimento di diversità può determinare conflitto contro e danni oppure conflitto per e vantaggi non attraverso semplificazioni emotive o pseudo valoriali.
Bisogna cambiare paradigma spostando il focus dalla convenienza alla convivenza capendo che la vera convenienza, duratura, non può che essere quella che passa attraverso le convivenze.
L’inclusione non è banalmente il contrario dell’inclusione ma è aver parte, non solo far parte.
E questo complica tutto ovviamente.
L’inclusione di valore è una pratica culturale estesa tesa a costruire contesti in cui le differenze sono ricercate, accolte e valorizzate attraverso combinazioni di comportamenti coerenti con intenzioni e modalità integrative che includano la responsabilità.
Il valore dell’inclusione della diversità passa in sostanza da una logica di scarsità a una di abbondanza, ma un’abbondanza di valore.
Facile a dirsi ma difficile a farsi perché questo non è automatico e non basta capirlo: aumenta la pluralità delle opportunità ma anche dei problemi di confronto con l’ambiente esterno e di dissenso consenso.
Quindi, e questo richiede alto livello di pensiero e potere positivo diffuso.
il processo fondamentale non è quello di scoprire ma di inventare costruendo sintesi comuni di valore vantaggiose e accettabili per esigenze di obiettivi, valori e identità di diversi interlocutori e quindi di valore aggiunto per il sistema complessivo.
Il nuovo paradigma non è semplicemente una somma di posizioni collaborative, non è la scelta di uno stile partecipativo democratico ma, ripeto, implica il passaggio dall’idea dominante del profitto a quella del patrimonio.
Il profitto dipende da cosa si fa mentre il patrimonio è determinato da come si fa.
Se comunico qualcosa, sto facendo ma il come lo faccio determinerà il valore e quindi la continuità.
Vale per tutto: oggi sfruttiamo la risorsa, il mondo stesso è sfruttato invece le risorse vanno coltivate, così possono durare e crescere.
Dipende da come si fa quello che si fa.
La prevalenza di quello che si fa non è fatto bene.
Non possiamo sopravvivere se siamo soffocati dall’iniquità e dalla burocrazia; non possiamo sopravvivere se prevalgono l’ingiustizia e la criminalità; non possiamo governare il mondo se il potere è prevalentemente orientato alla suddivisione anziché alla condivisione.
L’innovazione è fondamentale ma non può avvenire in assenza di motivazioni profonde e da competenze nuove.
Il nuovo paradigma (perché e come si fa) dovrebbe passare dall’esclusione all’inclusione sviluppando convivenze, presupponendo che l’agire economico e l’agire sociale siano coessenziali per definire il comportamento di un paese o di un’impresa.
Non è sufficiente il richiamo a comportamenti sociali giusti senza intrecciarlo con competenze, interessi e quindi benefici.
Questo vuol dire che occorre imprimere comportamenti responsabili nelle azioni economiche.Siamo veramente lontani da questo, ma questa è l’unica strada per la speranza.