Dalla disaffezione per la classe politica a quella per la politica. Non ci resta che sperare in Draghi

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In foto Mario Draghi

Siamo vicini al punto di rottura: la crisi del sistema partitico, figlio del downgrading delle culture dominanti nel XX secolo, ha innescato e incubato la crisi della sua forma di stato.
Che la Democrazia sia in crisi non è novità, lo è da sempre, da quando è stata adottata; non era per piaggeria che Churchill la definisse la migliore delle peggiori forme di governo.
La verità è che la nostra democrazia si basa sull’ipostatizzazione del principio cardine delle società moderne e contemporanee, il principio di uguaglianza. Forse sarebbe meglio dire di quella interpretazione dl principio di uguaglianza che nega l’individualità, annulla l’ambizione, mortifica il talento.
Da questa prospettiva Tangentopoli, intuita dalla Sinistra negli anni 80 ma perseguita solo dopo l’implosione dell’URSS, è il suo disperato tentativo di salvare la democrazia parlamentare e l’idea della gestione collegiale dello Stato. Grazie all’eliminazione giudiziaria dei titolari della rappresentanza politica anzichè al mantenimento della corrispondenza tra volontà popolare e attività di governo.
La ragione della disaffezione, che era per la Classe politica, è disaffezione per la Politica e delle procedure per la sua selezione.
O non sono queste le ragioni del calo, ormai fisiologico, dell’astensione elettorale dovuto alla consapevolezza che il voto non vale nulla e comunque non incide?
A proposito della sporcizia che fa da padrona a Roma da 20 anni e passa, Andreotti disse che Roma non la sporcano i Piccioni, mai avrebbe ammesso apertamente che non era bugia che SPQR era acronimo di “Sono Porci Questi Romani”.
E’ ora di seppellire l’andreottismo e pretendere che la Classe Politica si prenda le sue responsabilità, parlando chiaro, agendo coerentemente, guidando gli elettori non per compiacerli ma per fare il loro bene anche contro la loro volontà. E soprattutto rendendosi conto che i giovani non votano perché non hanno nessun candidato che li rappresenti: la media dei politici supera i 50 anni i 30 enni sono rarità, gli under 30 si contano sulle dita di una mano.
La verità e che l’80% dei componenti della classe politica non ha un mestiere cui potrebbe tornare, sono professionisti della politica senza la quale non camperebbero e comunque non camperebbero come fanno da eletti.
Negli anni 50, 60 e 70 il Parlamento era zeppo di professori universitari, avvocati, ingegneri, medici imprenditori. Il PCI chiosò che erano gli unici che si potevano permettere di fare politica senza smettere di vivere senza lavorare.
Il PCI aveva ragione da vendere e ottennne che i membri del Parlamento avessero privilegi a compenso del non poter guadagnare lavorando perché dediti alla cosa pubblica. Ma da soli non ce la facevano e accettarono di pagare dazio, lasciando che i privilegi fossero estesi a chi non ne aveva mai avuto bisogno. Così nacque il Club e la revolving door di Montecitorio divenne una porta di sicurezza che si apre solo dall’interno.
L’immunità, per esempio, fu pensata per gli operai che venivano perseguiti perché protestavano per scioperare ma è diventata il salvacondotto per profitti sempre meno leciti dei partiti e ha finito per creare una casta che copriva l’intero arco costituzionale.
O non era questa la denuncia che la Sinistra Armata aggredì e cercò di portare a conoscenza del paese salvo sbagliare modi e tempi e poi suicidarsi mancando di liberare Aldo Moro?
Non è facile entrare nel Club Montecitorio né in quelli Comune e Regioni.
Un qualunque giovane che decidesse di candidarsi, per avere la speranza di farsi notare, dovrebbe passare sotto il giogo di un partito o compiere un atto eroico o investire un patrimonio e farsi un partito suo.
Calenda, nato come manager, ha conquistato la ribalta grazie al PD e poi dissociandosi dal PD in chiave governista. Il bocconiano Giorgetti, dopo una lunghissima gavetta, è dovuto diventare Ministro e lasciare che lo definissero l’antagonista di Salvini perché ci si accorgesse di Lui. Ma per lo più sono tutti in Parlamento o nei paraggi da anni. I 5-Stelle erano a parte ma ha fatto errori che il loro stesso elettorale non gli ha perdonato.
Da anni tutti parlano di limite al numero di mandati elettorali (come di limite agli incarichi nelle società pubbliche) ma anche i 5-Stelle si sono dovuti piegare al sistema. Basta vedere la fine fatta dal Diba pentastellato.
E allora rimane solo un sogno: che Draghi divenga Presidente della Repubblica, gestisca le prossime politiche e, sulla base dei suoi risultati, indirizzi le forze politiche che hanno sostenuto il suo attuale governo ad una maggioranza che conduca alla modifica del Titolo I della Costituzione (sulla falsariga ma non proprio di quello che Renzi ha fatto naufragare pensandosi il valore aggiunto necessario alla sua approvazione) ed una legge elettorale a doppio turno.