Di fronte a tragedie come quella della Marmolada non basta dire: Mi dispiace

Quanto segue ha poco o niente in comune con il romanzo di Marquez, probabilmente solo la tragicità del titolo. Inutile rimestare la materia sollecitati dai fatti funesti e incredibili accaduti domenica sulla Marmolada: con tutto il riguardo dovuto a chi, in alto loco, si sta prodigando con commozione personale probabilmente autentica e il rispetto per le vittime, le ennesime, della montagna, non è facile tener lontano un sentimento di fastidiosa intolleranza della forte connotazione di ipocrisia che finisce puntualmente per coinvolgere tutto l’apparato, pubblico e privato che dovrebbe gestire l’intera problematica. Ben vengano il rammarico e la rabbia espresse da Mattarella e Draghi nel commento pubblico sulla vicenda, se non fosse che gli italiani e il resto del mondo avevano assistito giusto un anno fa a qualcosa del genere. Successe, sempre in occasione di una disgrazia in montagna, precisamente quando una cabina dell’impianto di risalita del Mottarone precipitò, provocando diverse vittime. Nell’intervallo tra le due tragedie, altre se ne sono verificate, che non hanno colpito direttamente le persone e che comunque hanno arrecato danni sia agli esseri viventi che al loro habitat.
Se è vero, come è vero, che è l’intero ecosistema mondiale a essere oggetto di cambiamenti drastici a partire dalla fine del secolo scorso, non basta dire che dispiace o che avvenimenti del genere non debbano più succedere e sperare nella sorte che il trend in corso ritorni naturalmente nella routine normale. Sperare che la casalinga di Voghera possa mettere da parte presto l’incipit di ogni sua conversazione: “non ci sono più le mezze stagioni, signora mia!” sarebbe solo una pia illusione e non porterebbe a nessun risultato concreto. È doveroso aggiungere che nei secoli scorsi il mondo animale e quello vegetale piu volte hanno assistito a cambiamenti e a sfasature delle stagioni, non dimenticando surriscaldamenti e glaciazioni succedutisi nella notte dei tempi. Può invece essere di aiuto per un approccio più scientifico ritornare con la mente a quanto succedeva a Napoli, alla facoltà di Matematica, all’inizio degli anni ’50. Il Professor Renato Caccioppoli non ha bisogno di presentazioni, probabilmente non cosí uno degli assistenti più vicino a lui, Don Savino Coronato. Un prete si, che divideva la sua attività di ricerca tra sacro e profano, tra quanto era pertinente a questo mondo e quanto all’altro. Coloro che, studenti, ebbero la ventura di assistere alle conversazioni tra i due, raccontavano poi, a loro volta, divenuti docenti alle scuole superiori, le dotte diatribe dei due scienziati in merito ai disastri ambientali. Mentre il Prelato faceva dipendere tutto dalla mano di Dio e, probabilmente all’epoca non aveva tutti i torti, lo Scienziato, panteista sui generis, aveva una sua teoria in merito che più pragmatica non sarebbe potuta essere. Sosteneva infatti che la natura sopportava l’intrusione dell’uomo fino a un certo limite, dopodichè si ribellava e faceva in modo che tutto ritornasse allo statu quo ante, se non ancor oltre. Caccioppoli all’epoca si riferiva a opere del tipo dighe, argini di fiumi rinforzati con pietre tenute insieme da reti metalliche e altro che, se contenute in determinati limiti, erano giustificate da pura necessità. Eppure, secondo quello scienziato, Madre Natura neanche a queste condizioni ne accettava la presenza.
Che direbbe oggi il matematico napoletano, nel vedere gli scempi realizzati non per necessità incombenti, ma quasi sempre per ragioni speculative? Ritornando alle vicende attuali, la logica che nel Paese finora ha presieduto alla restituzione in bonis di quanto è stato storpiato sul suo territorio, è stata generalmente quella dell’ applicazione di pannicelli caldi, perpetuando l’abitudine nazionale di pensare: “domani è un altro giorno, si vedrà”. Ornella Vanoni intitolò così una sua canzone che ebbe successo. L’importante dovrebbe essere che al più presto in Italia si arrivi a sviluppare un piano corredato da un programma realistico e quindi di immediata esecuzione, che riguardi tutti gli aspetti morfologici del Bel Paese.
Più specificamente, necessità di essere riconsiderato tutto l’assetto territoriale, iniziando dalla regimazione dell’acqua potabile, che viene dispersa dalla rete idrica nazionale mal manutenuta per oltre il 40% del suo volume. Segue a ruota la sistemazione delle frane, le trivellazioni purchè fatte a norma e regola e diversi interventi volti alla salvaguardia dell’ambiente e quindi di quanti lo popolano. Un problema di tipo diverso, che nè Caccioppoli né Don Coronato, buon fecero in tempo a vedere fu quello dei rifiuti di ogni genere che per loro, avrebbero ammorbato di li a poco campagne e città nonché mari, fiumi e laghi, oltre alla scomparsa pressochè totale dei limiti territoriali per il sistema floro faunistico, che hanno comportato disastri di ogni genere, un episodio per tutti, i cinghiali in città. L’agenda è piena zeppa di problemi da risolvere di quella tipologia appena accennata e tante altre simili. L’ennesima tragedia che si è appena concretata purtroppo non sarà l’ultima, nè nel Paese né nel resto del mondo. Non è un problema che possa essere risolto con facilità nè in tempo breve. In campagna si dice che se mai si comincia, mai si finisce. Aggiungendo subito che chi ben comincia è a metà dell’opera. Completa l’elenco delle perle rurali quella che afferma che volere è potere. Sempre che si voglia, quindi… A buon intenditor, poche parole!