Avvenimenti di questi mesi mi hanno riportato al tema del dialogo, al quale ho dedicato un capitolo de “La tregua”, edita dall’Armando, sul quale mi sono talvolta soffermato anche su questa pagina. Essi mi hanno confermato che, tra le principali ragioni delle crisi, esistenti in tutti i campi del vivere, ci sono il dominio del monologo e la mancanza del dialogo. Dialogo è una delle parole che, negli ultimi decenni, sono state più usate, ed una di quelle che, anche attualmente, vengono più usate. Monologo invece è parola che viene raramente usata, quantunque siano propri i monologhi a dominare incontrastati nella nostra vita quotidiana. Con il termine monologo si intende qui l’espressione dell’opinione di un individuo o di un gruppo di individui che vuole imporsi senza discussione, e quindi categoricamente, come nei regimi totalitari. Così, nel tempo delle democrazie, questi monologhi, che rifiutano diventare dialoghi, danno origine ai molteplici, piccoli totalitarismi che portano lontano dal vero, dal giusto, dal bene, ed originano le crisi in atto. Imposti con finti sorrisi, che nascondono arroganze e prepotenze, vengono accettati perché favoriscono piccoli interessi materiali, per indifferenza o per quieto vivere. Il dialogo non va confuso con la richiesta di chiarimenti su quel che è stato detto, ma richiede che tra chi parla e chi risponde ci siano una paritetica educazione, una paritetica formazione ed anche una stessa volontà di ricercare ed identificare quel che è vero, bene e giusto materialmente e spiritualmente, per il proprio e per l’altrui vivere.Negli ultimi decenni la mancata educazione dei giovani al dialogo e la sempre maggior mancanza di luoghi di dialoghi ha contribuito a determinare la stagnante situazione culturale nella quale siamo. Questa mancata educazione è dovuta anche a molti di coloro che, avendola avuta nella loro età giovanile, hanno avuto la possibilità di rivelare se stessi. E che poi da adulti hanno imposto monologhi, ispirati quasi sempre dai venti di moda, evitando che più giovani di mente e di animo potessero emergere come a loro era stato concesso. Talvolta, per continuare a sostenere i loro monologhi, hanno importato da fuori contenuti, tralasciando quelli che c’erano ed impedendo anzi che questi si sviluppassero. I monologhi di tanti politici hanno portato ad un sempre maggior allontanarsi della politica; i monologhi di sacerdoti hanno portato ad abbandonare le chiese, dove sono per lo più scomparsi i padri spirituali; i monologhi di tanti docenti hanno portato lontano dalla poesia, dalla letteratura, dalla filosofia, dall’arte; i monologhi di tanti giornalisti hanno contribuito a determinare le crisi dei giornali. Tutti questi monologhi, rendendo impossibili autentici dialoghi e dando senso ed orientamento effimeri e interessati, stanno pericolosamente alimentando, nel segreto di tanti animi, il desiderio di un unico monologo totalizzante, che imponga a tutti un preciso orientamento al vivere, che sarebbero comunque accettati dai trasformisti, che l’hanno ispirato, e darebbero inquietudini ed angosce a coloro che l’hanno desiderato, ritenendosi impotenti ad altro.