di Salvatore Pignataro
Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione mette in guardia i “leoni da tastiera” sulla diffamazione con i social.
“La diffusione di un messaggio denigratorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata. Ciò perché la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall’utilizzo di una bacheca social, ha la capacità potenziale di raggiungere un numero indeterminato di persone.” Questo emerge da una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione n° 24212/2021 in cui si contestava l’effettiva riferibilità della condotta ad una imputata. “ Bastano le spie indiziarie, dunque, per avere una condanna legata alla diffamazione a mezzo social. A rilevare questo importante pronunciamento dei magistrati è stato il dottore Salvatore Pignataro, Presidente dell’Associazione Italiana Criminologi per l’Investigazione e la Sicurezza della Campania, Componente dell’Associazione Italiana Security e Intelligence e docente di Criminologia Investigativa, Tecniche di indagine e Digital Forensics per conto di alcune università italiane. Le cosiddette “vetrine virtuali” spesso hanno un elevato numero di lettori poiché l’utilizzo dei social – così come si evince nella sentenza – offre la possibilità di poter diffondere e condividere ciò che scriviamo in maniera esponenziale e che spesso riguarda le esperienze di vita, professionali, sociali ed affettive. Per cui postare un commento offensivo sulla propria bacheca Facebook, realizza una incontrollabile pubblicizzazione e diffusione di esso.