Dilemmi del capitalismo municipale – Il caso Acea

di Roberto Falcone

Fra i nodi che il nuovo sindaco di Roma potrebbe decidere di affrontare vi è quello del Servizio Idrico Integrato. Il gestore del servizio, la società ATO 2 S.p.A., è più apprezzato dai suoi proprietari per i dividendi che distribuisce che dai cittadini per la qualità ed il costo del servizio. Poiché ambedue i candidati alla carica di sindaco sono di partiti che appoggiarono il SI al referendum del 2011 sull’acqua “Bene Comune”, é possibile che la nuova giunta comunale si ponga l’obiettivo di riprendersi la proprietà di ATO 2, cioè “pubblicizzarla”. Cosa non facile.
ATO 2, concessionaria del Servizio Idrico per il Comune di Roma e per quasi tutti gli altri comuni della provincia, appartiene alla Holding Acea S.p.A., società quotata alla borsa di Milano, controllata al 51% dal Comune di Roma. ATO 2 è anche la maggiore contributrice ai risultati economici di Acea e le distribuisce dividendi in quantità talvolta superiori a quelli distribuiti dall’Acea ai suoi azionisti. Come fa ATO 2 ad essere la gallina dalle uova d’oro di Acea? Grazie al conflitto di interessi del Comune di Roma concedente del servizio.
Porre termine al conflitto di interessi, e affidare il servizio idrico ad una azienda che persegua il rapporto qualità/costo del servizio e che non abbia come priorità il dividendo, sarebbe un atto di giustizia verso gli utenti e verso gli altri comuni della provincia, oggi obbligati a subire tariffe stabilite nell’interesse finanziario del Comune di Roma. Ma non converrebbe agli azionisti, percettori di dividendi. Fra questi in prima fila, almeno con le consiliature precedenti, lo stesso Comune.
La “pubblicizzazione” comporterebbe un virata di 180 gradi nella gestione finanziaria del Comune. Poiché azionisti e amministratori di ACEA non potrebbero accettare di privarsi della gallina dalle uova d’oro, l’unico modo per pubblicizzare ATO 2 è sciogliere il nodo della proprietà mista pubblico-privata di Acea. Cioè investire nell’acquisto delle azioni di Acea attualmente possedute da privati. Ma dove potrà il Comune trovare il capitale necessario a liquidare i soci privati di Acea? Inoltre, un tale investimento sarebbe poi economicamente giustificato o non produrrebbe piuttosto un danno erariale?
La risposta potrebbe venire da una verifica che ancora nessuno ha fatto: quanto si ricaverebbe con un piano industriale che prevedesse il break-up ( vendita separata delle singole attività di Acea ) e che magari valorizzasse le potenziali sinergie di intervento su situazioni problematiche di altre partecipate del Comune come ad. es. AMA? Vi è anche da domandarsi che riposta riceverebbe il Comune se bussasse, per un tale piano industriale, alla Cassa Depositi e Prestiti, l’ente finanziario istituzionalmente preposto ad assistere i comuni per questo tipo di esigenze.
Stiamo a vedere se la nuova amministrazione avrà il coraggio, per pubblicizzare ATO 2, di farsi “privatizzatrice”, vendendo altre partecipazioni di Acea, come ad esempio la produzione di energia elettrica, o la gestione di servizi in Sudamerica.